Il mischiglio, in Basilicata, è un nuovo Presidio Slow Food

Il mischiglio, in Basilicata, è un nuovo Presidio Slow Food

È un mix di cereali e di legumi, le cui farine, unite in proporzioni variabili, vengono da secoli usate per preparare i tradizionali rascatielli, una pasta ottenuta lavorando a mano acqua e farina: l’ultimo Presidio Slow Food in ordine di tempo a venire presentato arriva dalla Basilicata ed è il mischiglio.
Siamo nella valle del Serrapotamo, in provincia di Potenza, ai piedi del Parco Nazionale del Pollino.
Qui, per secoli, i contadini hanno fatto di necessità virtù: siccome la farina di grano scarseggiava, essendo la moneta con cui i contadini pagavano le gabelle al regno dei Borboni, perché non unire al rimanente quella di fave e ceci?


Una storia di privazione che diventa memoria di una comunità

«Il mischiglio, nato da una storia di privazioni e di subalternità, è diventata una storia di comunità, di valore, di riappropriazione, una memoria che prende forma e si fa attiva per continuare a narrarsi» spiega Anita Ferrari, referente Slow Food del Presidio del mischiglio.
Seppur frutto di necessità, il mischiglio è tutt’altro che una farina povera: «A  livello energetico è piuttosto sostanziosa, capace di assicurare energia a chi lavorava tutto il giorno nei campi» aggiunge Giuseppe Arleo, che del Presidio è il referente dei produttori.
La zona di produzione del Presidio comprende le località di Chiaromonte, Teana, Fardella e Calvera e i comuni confinanti e in ogni paese il mischiglio si fa a modo proprio: se a Teana e a Fardella è composto per metà da grano Carosella (da tempo sull’Arca del Gusto) e per metà da farina di fave, a Chiaromonte e Calvera si usa un terzo di grano duro Senatore Cappelli, un terzo di grano tenero Carosella e un terzo di legumi, orzo e, quando necessario, avena.
Ciò che accomuna tutti è la ricetta della tradizione: i rascatielli, che vengono conditi con una salsa di pomodoro, aglio e basilico, detta scind scind.
Quasi una zuppa, a cui talvolta si aggiunge del peperone crusco a scaglie, che può anche essere mangiata con il cucchiaio o con il pane. 


Dal campo alla tavola, una filiera completa

«Nella nostra zona, come in molti altri angoli d’Italia, la popolazione invecchia perché i giovani se ne vanno, a volte per lavorare e altre per studiare, ma senza poi far ritorno a casa» prosegue Arleo.
Ma chi rimane sa come fare rete: «Al Presidio Slow Food del mischiglio aderiscono cinque coltivatori, due mulini che trasformano la farina e tre pastifici: per fortuna abbiamo una filiera chiusa, intera».
Una piccola ma significativa storia di economia locale che, valorizzando «un prodotto identitario profondamente espressivo della dimensione socio-culturale ed etno-antropologica della Basilicata, con specifico riferimento all’area del Pollino», come lo definisce Ferrari, guarda al futuro: perché il mischiglio «è un unicum, un capolavoro di biodiversità, anche culturale».
«Abbiamo fortemente sostenuto il Presidio Slow Food del Mischiglio, prevedendo anche un contributo economico per la candidatura, poiché queste azioni ben si coniugano con l’azione di tutela e di valorizzazione delle biodiversità proprie di ogni area protetta – conclude la presidente del Parco Nazionale del Pollino, Valentina Viola –. Siamo anche certi che questo percorso sarà un’occasione di aiuto e di reale valorizzazione che coinvolgerà direttamente i territori con gli operatori del settore insieme ai Comuni dell’areale già impegnati con la Via del Miskiglio con azioni di animazione e recupero di questo antico prodotto».

 

Il Cammino di San Jacopo e la Via di Francesco coinvolti in “cammini aperti”

Il Cammino di San Jacopo e la Via di Francesco coinvolti in “cammini aperti”

“Scopri l’Italia che non Sapevi – Viaggio Italiano” è un progetto congiunto di promozione turistica delle
regioni italiane facente parte del Piano di Promozione Nazionale del Ministero del Turismo.
Tra le attività portate avanti, ora, ce n’è una volta alla valorizzazione del turismo lento, una modalità di
viaggio sempre più in voga che permette di assaporare appieno anche angoli meno noti della nostra
Penisola, magari con la primavera.

San Jacopo in Acquaviva, foto David Dolci

Con la primavera sboccia “cammini aperti”

È “Cammini Aperti” che ideato dalla Regione Umbria – in qualità di capofila per il turismo slow –
si pone l’obiettivo di essere il più importante evento nazionale dedicato ai sentieri/itinerari,
promuovendo i valori dell’accessibilità.
Si terrà il 13 e 14 aprile, 42 i cammini coinvolti, 2 per ogni
regione e provincia autonoma, con oltre 2000 partecipanti, previa iscrizione sul portale dedicato.
Le
escursioni/passeggiate saranno condotte da guide ambientali escursionistiche o accompagnatori di media montagna.
Tra le caratteristiche di ogni percorso: essere un anello e avere una lunghezza tra i 6 e i 10 km.
A essere coinvolti in “Cammini Aperti” anche due importanti partner il CAI – Club Alpino Italiano e FISH –
Federazione Italiana Superamento Handicap.
Il CAI, Ente pubblico vigilato dal Ministero del Turismo, ha
lavorato selezionando 21 cammini, uno per ogni regione, e identificato un tratto di questi – di lunghezza variabile – sui quali portare persone con difficoltà motoria mediante l’impiego di Joelette e/o carrozzine.
Inoltre, su tutti e 42 cammini lo stesso darà informazioni, distribuendo un vademecum, per incentivare la
pratica responsabile dell’outdoor. FISH, invece, si impegnerà attivamente per garantire l’accessibilità di
questi percorsi, lavorando affinché le persone con disabilità possano partecipare pienamente alle escursioni.
Attraverso iniziative di sensibilizzazione e collaborazioni con le autorità locali e le federazioni regionali sarà
promosso un sistema di turismo lento accessibile e inclusivo per tutti, anche per coloro con mobilità ridotta. A tal proposito verrà redatto un documento con linee guida per tutte le realtà del terzo settore e le regioni per una fruizione il più possibile reale.

Panorama di Serravalle

La Toscana sceglie il “Cammino di San Jacopo” e la “Via di Francesco”

In Toscana “Cammini Aperti” si terrà sul Cammino di San Jacopo e sulla Via di Francesco
Via di Francesco , 13 aprile
Sarà un itinerario di 8 km in uno dei tratti più caratteristici della Via di Francesco che nella regione si
snoda per 300 km toccando eremi, monasteri, bellezze naturali. In questa giornata si è nel cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi dove la natura è in grado di regalare emozioni e spettacolari visioni, laddove si erge uno dei Santuari più importanti legati alla vita del Patrono d’Italia: La Verna.
L’escursione partirà in località La Beccia (1.024 mt.) e salirà con un percorso a doppio anello: quello basso
passerà sotto con vista della meravigliosa parete rocciosa su cui si trova il Santuario; quello alto porterà fino a Monte Penna (1.284 mt.), cima del “crudo” Sasso da si potrà godere un bellissimo panorama.
A fine
escursione si visiterà il Santuario della Verna e il suo museo.

Pisa

Cammino di San Jacopo, 14 aprile
Nella seconda giornata i partecipanti cammineranno a passo lento su alcuni tratti della terza tappa del
Cammino di San Jacopo, che da Firenze va a Livorno passando per quella che è definita la PIccola Santiago cioè Pistoia. Idealmente da Livorno si può prendere la nave per Barcellona e, da lì, raggiungere il Cammino di Santiago de Compostela.
Quella proposta, qui, invece sarà un’escursione ad anello lunga 9 km. Il ritrovo
sarà a Pistoia per raggiungere poi con un bus il borgo di turrito di Serravalle Pistoiese dove partirà effettivamente l’itinerario con la scoperta del centro storico, la visita alla Rocca Vecchia e la possibilità di salire sulla Torre Barbarossa per una vista che spazia fino al mare.
Ci sarà anche tempo per uno sguardo
alla Rocca di Castruccio, all’ Oratorio della Vergine Assunta riccamente decorato con affreschi del ‘300, alla Pieve di Santo Stefano e a quella di San Michele dove si gusteranno prodotti tipici del territorio grazie alla Pro Loco. Usciti dal borgo si attraverseranno le iconiche colline toscane, si farà visita alla Tenuta di Groppoli e al Convento di Giaccherino, che domina tutta la piana da Serravalle a Firenze, dal quale i pellegrini di ritorno dalla Francia potevano sentire il profumo della città ormai a poca distanza. Scendendo dall’Antica Via Crucis Selciata si raggiungerà la confluenza dei fiumi Vincio e Ombrone per poi raggiungere Pistoia, la Santiago d’Italia.


Che cos’è “l’Italia che non sapevi”

Si ricorda che “Scopri l’italia che non Sapevi” è una strategia di promozione comune delle Regioni
Italiane frutto di un accordo di programma tra il Ministero del Turismo e la Commissione Politiche per il
Turismo – coordinata dalla Regione Abruzzo – della Conferenza delle Regioni e delle Province
autonome, in collaborazione con ENIT.
Un progetto che vede il coinvolgimento in qualità di capofila delle
Regioni Emilia-Romagna, Umbria, Marche e Abruzzo, ognuna per la valorizzazione di una tematica specifica (borghi, turismo lento, turismo attivo, natura e parchi) con quest’ultimo anche responsabile degli aspetti legati all’interoperabilità con il Tourism Digital Hub.
A queste si sono unite le Regioni partner ai quali sono stati affidati alcuni tematismi verticali. Regione
Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Campania si occupano così rispettivamente di enogastronomia, golf e
percorsi e itinerari di turismo archeologico subacqueo, il tutto per enfatizzare ulteriormente il progetto e
così anche il prodotto Italia.

Ciliegi fioriti: i 7 posti più belli dove vederli a Tokyo

Ciliegi fioriti: i 7 posti più belli dove vederli a Tokyo

I ciliegi che potete ammirare fanno parte del genere Prunus e ce ne sono di diversi tipi in tutto il mondo, soprattutto nelle zone a clima temperato dell’emisfero nord, dal Giappone alla Cina e alla Corea fino a Nepal, India, Pakistan, Iran, Afghanistan ed Europa settentrionale.
Il Giappone è particolarmente famoso per i suoi ciliegi grazie alla grande varietà di piante e ai festeggiamenti con cui la fioritura viene accolta in tutto il paese.
Non appena i fiori sbocciano nei parchi e per le strade di tutto il paese, cominciano i picnic e le feste ‘hanami’, dove ammirare i ciliegi in compagnia e apprezzarne la bellezza, seppure effimera, che annuncia l’arrivo della stagione più calda. I ciliegi in giapponese si chiamano ‘sakura’ e non è esagerato dire che sono una vera e propria ossessione nazionale.


La stagione della fioritura in Giappone

In Giappone, la stagione della fioritura va generalmente dalla terza decade di marzo alla prima di aprile, ma se si considera la vastità geografica del paese, il periodo si estende per circa quattro mesi.
A sud, nelle isole subtropicali di Okinawa, i ciliegi cominciano a sbocciare a metà gennaio e sono in piena fioritura verso l’inizio di febbraio.
Poi è la volta della regione meridionale del Kyushu, dove a Kagoshima, Kumamoto, e anche a Fukuoka, i primi boccioli si aprono nell’ultima settimana di marzo culminando ai primi di aprile.
Proseguendo verso nord, nella regione del Kansai dove si trovano Osaka, Kyoto e Nara, i ciliegi fioriscono a fine marzo-inizio aprile.
A Tokyo e Yokohama la fioritura tende a cominciare negli ultimi giorni di marzo e a culminare nella prima settimana di aprile.
Nella regione settentrionale del Tohoku, la fioritura comincia ad aprile inoltrato o nell’ultima settimana del mese nel caso di Hirosaki, all’estremità più a nord dell’Honshu.
Come prevedibile, l’isola di Hokkaido è l’ultima in fatto di fioritura: a Sapporo e Hakodate comincia la prima settimana di maggio e raggiunge il culmine qualche giorno dopo.
I ciliegi sbocciano in periodi diversi a seconda della varietà delle piante, ma a Tokyo la maggior parte è in piena fioritura come detto tra la fine di marzo e l’inizio di aprile.


Dove trovare i ciliegi?

La varietà di ciliegio più diffusa in Giappone è la Somei-Yoshino, ottenuta da ibridazione e famosa per i fiori dai petali bianchi con una lieve sfumatura rosa.
Questi alberi si trovano spesso nei parchi, vicino alle scuole e lungo i fiumi o i fossati dei castelli e formano archi dai colori tenui che si riflettono sull’acqua.

Un’altra varietà di ciliegio pregiata per la sua bellezza è la Kawazu-zakura, diffusa per lo più nella zona di Kawazu, nella parte meridionale della penisola di Izu, a due ore e mezza di treno da Tokyo.
I fiori di questi alberi sono caratterizzati da un rosa più intenso rispetto alla varietà Somei-Yoshino e sbocciano circa un mese prima, a fine febbraio o inizio marzo. La festa dei ciliegi Kawazu-zakura è una meraviglia che attira ogni anno circa un milione di persone.

Per chi non è in Giappone in primavera, nella provincia di Aichi ci sono i ciliegi ‘shiki-zakura’ (o “delle quattro stagioni”), che fioriscono due volte all’anno e perciò si possono ammirare anche in autunno, in un suggestivo contrasto di fiori rosa delicato e foglie rosso vivace degli altri alberi.
In Giappone, ci sono anche ciliegi bonsai dalla forma estremamente curata, alberi in miniatura che uniscono due simboli della cultura giapponese.


Significato e simbolismo dei fiori di ciliegio

I ciliegi in fiore rappresentano una sensibilità estetica che trova espressione in tutta la cultura giapponese. I fiori di ciliegio sono infatti un motivo decorativo molto presente, dai paesaggi onirici delle stampe ukiyo-e ai raffinati paraventi dipinti, fino ad arrivare all’arte moderna, con manga e anime inclusi, e a prodotti di uso quotidiano come contenitori ‘bento’ per il pranzo.
Il ciliegio e i suoi fiori delicati hanno ispirato innumerevoli versi dedicati alla bellezza che donano al paesaggio e alla felicità nel vederli sbocciare ogni primavera.
Tra i tanti esempi, le parole del monaco zen e poeta Ikkyu (1394-1481): “Apri un ciliegio, ma non troverai i fiori: ma la brezza di primavera ne porterà a miriadi”.

La popolarità dei ciliegi in fiore è dovuta a molti fattori, tra cui il loro valore simbolico: i rami fioriti sembrano nuvole di petali che ricoprono gli alberi, per poi scomparire all’improvviso come nuvole soffiate via dal vento, simbolo della caducità e della transitorietà della vita.
Ciò è legato all’antico concetto buddista che nella cultura giapponese è conosciuto come “mono no aware” ovvero “il pathos delle cose”, che riconosce la bellezza della vita nella sua brevità.

Il periodo di fioritura dei ciliegi in Giappone è esattamente quello in cui termina il vecchio anno scolastico e inizia quello nuovo, con molti studenti che, dopo il diploma, entrano nel mondo del lavoro aprendo così un nuovo capitolo nella loro vita.
Quando si lascia indietro qualcosa, la nostalgia fatta di tristezza e felicità insieme è chiamata ‘natsukashii’, per molti evocata dai ciliegi che fioriscono in un periodo di transizione.
Le feste dedicate ai ciliegi si svolgono di solito nei parchi e nei giardini intorno ai castelli in tutto il Giappone, ma anche all’estero.


Le feste dedicate ai ciliegi

Le feste ‘hanami’ (letteralmente “guardare i fiori”) sono un’occasione per dare il benvenuto alla primavera ammirando i ciliegi, e anche un po’ una scusa per ritrovarsi a festeggiare tutti insieme all’aperto.
Spesso ci si riunisce tra amici e familiari, ma ci sono anche aziende che organizzano il loro ‘hanami’ per i dipendenti in un parco vicino alla sede.
In queste occasioni si fa un picnic e si sceglie preferibilmente un posto con molti ciliegi, ad esempio il parco di Yoyogi, molto popolare e in cui conviene andare la mattina molto presto per assicurarsi un buon posto.
Di solito si stende per terra un telone di plastica blu su cui tutti si siedono dopo essersi tolti le scarpe: inizia così la festa all’insegna del relax sotto i rami fioriti. Di solito si porta da qualcosa da mangiare e da bere da dividere coi commensali, e sono di moda anche ‘bento’ a tema, pietanze a forma di fiore e decorazioni rosa. È anche usanza mangiare il dolce di riso ‘sakura-mochi’ avvolto in una foglia di ciliegio.

I ciliegi vengono festeggiati in molte città anche con illuminazioni notturne che creano un’atmosfera in cui i fiori che risplendono al buio.
Dove c’è un castello, di solito ci sono anche dei ciliegi, ideali per la foto perfetta con il castello sullo sfondo del cielo blu, o con i petali che si riflettono sull’acqua del fossato.
La festa dei ciliegi di Hirosaki, nella regione di Aomori, è particolarmente famosa: con più di due milioni di visitatori, Hirosaki è stata selezionata come uno dei cento posti migliori per ammirare i ciliegi e per il paesaggio naturale.
A Tokyo, il canale di Nakameguro diventa particolarmente suggestivo quando i fiori e le lanterne appese ai ciliegi si riflettono sull’acqua come in un’incantesimo.


Ciliegi in fiore: le feste e i luoghi più belli a Tokyo

A Tokyo, tra luoghi noti a tutti e angoli sconosciuti ai più, ci sono tantissimi posti da cui ammirare i ciliegi in fiore, ma per un’esperienza ancora più coinvolgente non c’è niente di meglio di un festival.
Qui presentiamo sette eventi tra i più popolari per ammirare la bellezza effimera dei fiori divertendosi e salutando la primavera insieme ai tokyoiti.


Sakura matsuri a Nakameguro

Con i suoi numerosi caffè e locali alla moda, la zona di Nakameguro è molto elegante e tranquilla ma, durante il Nakameguro Sakura-matsuri Festival, il suo canale si trasforma grazie alle lanterne, alle bancarelle con in vendita snack e bevande e alla folla lungo le sponde.
Con 800 ciliegi che si susseguono per 3,8 chilometri formando un arco rosa chiaro che costeggia il fiume, i riflessi tremolanti visti dai ponti sono davvero magici, perfetti per foto talmente belle da non sembrare vere.

Giardini Rikugien

La bellezza dei ciliegi è da ammirare anche la sera con gli ‘yozakura’, i fiori illuminati di notte, che creano un’atmosfera eterea e affascinante, con una bellezza dell’altro mondo.
Uno dei migliori esempi di ‘yozakura’ è quello del ciliegio piangente che si staglia al di là del portale principale dei giardini Rikugien.
I giardini furono realizzati nel 1702 per volere di Yanagisawa Yoshiasu, signore feudale e vassallo dello shogun, ispirato da alcuni versi pittoreschi di poesia ‘waka’; ancora oggi, nonostante i 70 anni di età, lo splendido ciliegio ‘shidarezakura’ fiorisce ogni anno con una cascata di fiori dalle delicate sfumature rosa che ricopre i suoi rami.
Durante l’evento “Giardini Rikugien: Speciale Vista Notturna di Primavera”, i visitatori possono entrare nel parco di notte, quando normalmente è chiuso, per godersi i sakura.


Sakura Fes Nihonbashi

Nihombashi è stato il fulcro della vita commerciale durante il periodo Edo (1603-1868) e oggi è una zona famosa per i suoi negozi esclusivi e come centro della finanza.
Pur trovandosi nel cuore della città, Nihonbashi sa come festeggiare i ciliegi e lo fa in tantissimi modi creativi e nuovi.
Al Sakura Fes Nihonbashi 2024, ristoranti e negozi in tutto il quartiere di Nihonbashi offriranno uno speciale “Sakura Menu” con piatti a tema primavera e fiori di ciliegio.
Sarà in vendita una grande varietà di dolci, snack, scatole per il pranzo “bento” e altri prodotti. Da non perdere sono anche gli edifici illuminati di rosa lungo le vie Edo Sakura-dori e Chuo-dori.


Sakura matsuri a Bokutei

Quando, come spesso accade, i ciliegi costeggiano fiumi, canali o fossati, il riflesso dei fiori sull’acqua li rende ancora più belli.
Il fiume Sumida, nella zona est di Tokyo, non fa eccezione con un chilometro di sponde lungo le quali, tra i ponti Azumabashi e Sakurabashi, i ciliegi furono piantati nel periodo Edo dall’ottavo shogun Tokugawa Yoshimune.
Durante il Bokutei Sakura-matsuri Festival, associazioni di quartiere, esercizi commerciali e associazioni turistiche allestiscono delle bancarelle, portando un’atmosfera di festa.
La sera, i ciliegi vengono illuminati e il panorama con la Tokyo Skytree sullo sfondo è di una bellezza garantita.

Festa sakura a Chiyoda

A nord del Palazzo imperiale, la passeggiata Chidorigafuchi nel verde è una piacevole fuga dal trambusto della città e in primavera i suoi ciliegi formano una galleria rosa lunga 700 metri.
Durante il Sakura Festival di Chiyoda, tenuto annualmente tra fine marzo e inizio aprile, circa 260 alberi delle varietà Somei-yoshino e Oshima sono illuminati la sera e la zona navigabile con le barchette resta aperta fino a tardi, per permettere di ammirare dal fiume lo spettacolo fiorito.
Anche negozi e associazioni locali organizzano eventi speciali a tema, esaltando ancora di più l’atmosfera di questa festa primaverile.

Sora Sagano, Unsplash

Sakura matsuri a Ueno

Il parco di Ueno è uno degli spazi verdi più amati a Tokyo e vi si trovano anche il laghetto Shinobazu, uno zoo e diversi musei.
La strada principale che lo attraversa, costeggiata dai ciliegi, è conosciuta in tutto il Giappone e persino citata in un ‘haiku’ del famoso poeta Matsuo Basho.
L’annuale Sakura Matsuri del parco di Ueno attrae sempre una grande folla

Festa dei ciliegi a Koganei

La festa dei ciliegi di Koganei ha tutti gli elementi per essere speciale: i ciliegi, più di 1700 e di 50 varietà, sono nel parco dove si trova il Museo all’Aperto dell’Architettura Edo-Tokyo, che da solo vale già una visita al contempo divertente e culturale.
In più, vengono organizzati vari eventi sul palco tra cui concerti, danze, hayashi (spettacoli tradizionali accompagnati da musica) e spettacoli con tamburi ‘taiko’, esperienze di cerimonia del tè e composizione floreale. Gustando le specialità locali e regionali delle bancarelle, si attende la sera, quando i ciliegi illuminati sono ancora più belli.

Un anno ricco di appuntamenti enogastronomici in Alto Adige

Un anno ricco di appuntamenti enogastronomici in Alto Adige

In Alto Adige, durante tutto il corso dell’anno, si riuniscono appassionati e intenditori da tutto il mondo per partecipare a eventi enogastronomici dove vini e territorio sono protagonisti assoluti.
Il Consorzio Vini Alto Adige – nato nel 2007 e con al suo interno 274 realtà, dalle virtuose cantine cooperative, alle tenute fino ai vignaioli – svela alcuni appuntamenti dei prossimi mesi: si va dalle degustazioni alle giornate tematiche con momenti anche di formazione, fino alle presentazioni di novità e alle serate conviviali nelle cantine; insomma un’ampia proposta sia per i wine lovers sia per gli operatori del settore, che possono avventurarsi in viaggi alla scoperta degli scenari mozzafiato dell’Alto Adige e delle tante proposte enologiche. L’Alto Adige, si sa, è un territorio molto diversificato, dove le varietà internazionali come il Gewurztraminer, lo Chardonnay, il Sauvignon, il Pinot Grigio e il Pinot Nero e quelle autoctone come la Schiava e il Lagrein hanno trovato un ambiente ideale grazie alla combinazione di suoli, altitudini e mesoclima.

foto: Benjamin Pfitscher

Gli appuntamenti mese per mese

27 APRILE – GewürzTRAMINer Wineday. Sul Sentiero del GewürzTRAMINer di Termeno i produttori locali accoglieranno il pubblico in una degustazione esclusiva di vini, grappe e distillati a base di GewürzTRAMINer tra i vigneti dei pittoreschi quartieri di Betlemme e Ronchi.
Da non perdere anche le degustazioni di speck e formaggi in abbinamento e la degustazione di succo di mela.
10 MAGGIO – Festa del Vino di Caldaro. Qui si brinda all’arrivo della stagione estiva e all’anno vinicolo presso il lago balneabile più caldo delle Alpi. I produttori di vino partecipanti offrono una selezione dei loro migliori vini tra spumanti, bianchi e rossi.
10 – 13 MAGGIO – Giornate del Pinot Nero. Per la loro 26esima edizione le Giornate del Pinot Nero dell’Alto Adige si svolgeranno nei villaggi vinicoli di Egna e Montagna.
Durante l’evento il pubblico avrà l’opportunità di degustare i vini che partecipano al Consorzio Nazionale del Pinot Nero di fine Aprile.
8 GIUGNO – Notte delle Cantine. Nei villaggi vinicoli di Termeno, Cortaccia, Magrè, Montagna e Vadena, lungo la Strada del Vino dell’Alto Adige, numerose cantine e distillerie, dalle 17 alle 24, aprono di nuovo le loro porte.
20 – 29 LUGLIO – Settimane Enoculturali del Vino. Alle Settimane Enoculturali di San Paolo | Appiano, il vino, da 25 anni, si impara nella sua forma più bella. Negli idilliaci vicoli del villaggio del vino, tutto ruota intorno alla nobile goccia e la serie di eventi delizia intenditori di vino e gli amanti della cultura.
20 OTTOBRE – Festa dell’Uva a Merano. Ogni anno, dal 1886, nel terzo fine settimana di ottobre, a Merano ha luogo la ormai tradizionale Festa dell’Uva.
Dopo diversi mesi di duro lavoro in campi, frutteti e vigneti, arriva finalmente il tempo per concludere la stagione della raccolta. La sfilata, di grande impatto scenografico, è il culmine dell’evento: carri ornati con fiori, fiocchi, frutta e campane, bande musicali, gruppi folcloristici e gli “Schützen”, attraversano le vie della città di Merano.

Foto: Vini Sud Tirolo, Roswitha

Vini dell’Alto Adige dove il nord è già sud

Baciati dal sole mediterraneo, cresciuti nel territorio alpino, vinificati da vignaioli esperti, apprezzati dagli appassionati di tutto il mondo. Tutto questo sono i vini dell’Alto Adige.
Nel giro di pochi anni, l’Alto Adige è diventato la prima regione italiana per i vini bianchi. I presupposti di questa crescita sono stati il clima alpino-mediterraneo, la qualità dei terreni e le posizioni invidiabili dei vigneti.
Gli altoatesini hanno saputo trasformare queste condizioni favorevoli in un successo, grazie a una generazione di vignaioli meticolosi e diligenti, e all’impegno di consorzi lungimiranti e ricchi di idee.
L’Alto Adige vanta un primato a livello italiano: il 98% di tutta la superficie viticola è tutelato dal disciplinare Doc.
Nella produzione vinicola altoatesina, per l’etichettatura dei vini Doc si utilizzano le denominazioni di origine controllata “Alto Adige” e “Lago di Caldaro”. 


Le sottozone altoatesine: un rompicapo da decifrare

ALTO ADIGE – la denominazione “Alto Adige” può essere utilizzata per tutti i vitigni coltivati in Alto Adige in linea con i disciplinari Doc.
LAGO DI CALDARO – L’indicazione del vitigno utilizzato deve seguire quella della denominazione d’origine (per esempio “Alto Adige Lagrein”).
Se non è specificato un vitigno, la denominazione può essere utilizzata da sola solo per gli spumanti o per il cosiddetto “Alto Adige bianco”.
Se il “Lago di Caldaro” è prodotto in una delle sottozone di produzione classificate per l’Alto Adige, allora può essere accompagnato sia dall’appellativo “classico”, sia dalla denominazione “Alto Adige”. Le bottiglie di qualità più elevata si possono distribuire anche con l’appellativo “scelto”.
VALLE ISARCO – Nella Val d’Isarco si producono esclusivamente vini bianchi, con l’unica eccezione del “Klausner Leitacher” a Chiusa.
Sull’etichetta, alla denominazione “Alto Adige Valle Isarco” deve seguire l’indicazione del vitigno.
I vitigni ammessi sono Sylvaner, Veltliner, Pinot grigio, Müller Thurgau, Kerner, Traminer aromatico e Riesling per i bianchi.
SANTA MADDALENA – Il “Santa Maddalena” cresce sui pendii a Nord di Bolzano ed è un classico vino a base di Schiava, che un tempo poteva contenere fino al 15% di Lagrein o Pinot Nero.
Oggi, se coltivate nello stesso vigneto, sono ammesse fino al 15% di altre varietà dello stesso colore.
Se il “Santa Maddalena” proviene dai cru Santa Maddalena, Santa Giustina, Rencio, Le Coste (Leitach) o San Pietro, sull’etichetta può comparire anche l’appellativo “classico”
TERLANO – Questa denominazione si può utilizzare solo per i vini bianchi prodotti nella zona di coltivazione di Terlano.
Se non compare l’indicazione del vitigno, il nome “Alto Adige Terlano” indica un uvaggio composto almeno per il 50% di Pinot bianco e/o Chardonnay.
MERANO – Il vino a denominazione Doc “Alto Adige Merano” cresce nella zona che circonda la città di Merano ed è prodotto esclusivamente col vitigno Schiava.
Nel vigneto, oltre all’uva della Schiava, ora è possibile coltivare e utilizzare per il vino anche altri vitigni a bacca rossa.
L’uva di Schiava di questa zona è chiamata anche uva curativa di Merano ed è riconosciuta come rimedio.
VENOSTA – È l’ultima nata delle sottozone DOC dell’Alto Adige, e in base al disciplinare sono ammessi i vitigni Pinot bianco, Chardonnay, Pinot grigio, Müller Thurgau, Riesling, Kerner, Traminer aromatico, Schiava e Pinot nero.
Alla denominazione “Alto Adige Val Venosta” deve sempre seguire l’indicazione del vitigno.
COLLI DI BOLZANO – Il “Colli di Bolzano” è una Schiava la cui area di coltivazione cinge, come fosse una cintura, la zona di produzione del “Santa Maddalena”.

 

Pasqua a tutto dolce. Oltre la colomba

Pasqua a tutto dolce. Oltre la colomba

Resta, gubana, fugassa, corona, salame del Papa, ciaramicola, pastiera, cuzzupa e tante altre ancora. C’è un mondo poco noto oltre la colomba fra i dolci pasquali tipici.
In tutta la penisola non si rinuncia ad accendere forni e fornelli per preparare infinite e prelibate specialità regionali.E allora da Nord a Sud, partiamo per un viaggio tra ricette popolarissime e delizie di nicchia per le feste di Pasqua.


Corona dolce – Trentino Alto Adige

Soffice e gustosa, la corona dolce trentina è il dolce pasquale per eccellenza di tutto il territorio del Trentino-Alto Adige.
Facile e semplice da realizzare perché per la sua ricetta bastano pochi ingredienti: farina, latte, lievito di birra, burro, tuorli, zucchero e limone.
Generalmente ha l’aspetto di una corona intrecciata (ma si trovano anche delle varianti) e viene decorata con uova sode colorate.
Grazie alla sua forma circolare e alla vivacità della copertura, la corona dolce trentina è perfetta anche come centrotavola per pranzi e cene pasquali.


Gubana – Friuli Venezia Giulia

E’ una ricetta antichissima le cui prime testimonianze risalgono al 1409 quella della gubana dolce pasquale immancabile sulle tavole dei friuliani.
Originaria della valle del Natisone, questa ciambella a base di pasta lievitata e cotta al forno è ripiena di burro, zucchero, uova e un tripudio di noci, uvetta, pinoli, mandorle, scorze di cedro e arancia canditi, cioccolato e grappa.


Fugassa – Veneto

Detta anche fugassin, la fugassa è uno dei dolci pasquali più consumati in Veneto.
A inventarla sembra sia stato un fornaio trevigiano che, in occasione della Pasqua, arricchì l’impasto del pane con altri prodotti golosi, dal burro allo zucchero, ottenendo così un pane dolce, alto e soffice.
Si tratta di un lievitato simile alla colomba, ma dalla forma più tondeggiante, morbido e aromatico, solitamente insaporito con marsala, cedro e vaniglia.
Anticamente era considerato un prodotto “povero”, diffuso fra le famiglie meno abbienti per la semplicità della ricetta e degli ingredienti impiegati, quelli tipici delle campagne (impasto del pane, uova, burro, zucchero).
La fugassa veneta oggi viene preparata con 4 lievitazioni differenti e aromatizzata in vario modo a seconda della zona.


Salame del papa – Piemonte

Dolce preferito dai più piccoli, per molti uno dei primi esperimenti di pasticceria casalinga, il famoso salame di cioccolata si chiama in realtà salame del papa e nasce in Piemonte, ad Alessandria, per la precisione, anche se ormai è preparato e consumato in tutte le regioni.
Come si intuisce dal nome, si tratta di un dolcetto che ricorda nella forma e nell’aspetto il salame corallina tipico della Pasqua.
Si prepara con biscotti secchi tritati (che rappresenteranno il grasso dell’insaccato), cacao amaro o cioccolato fondente, nocciole e burro, anche se le versioni in questo caso sono moltissime: basta unire tutto insieme per ottenere un salsiccione da spolverare con zucchero a velo e, volendo, legare insieme con uno spago, per una somiglianza maggiore. Si fa rassodare in frigorifero, dove si può conservare per più giorni.

Torta pasquale – Lombardia

Tipica della città di Como, la resta rappresenta la torta pasquale per eccellenza. Sostanziosa pagnotta iper-lievitata viene cucinata in occasione della domenica delle Palme e al suo interno custodisce un bastoncino di ulivo.
Preparato con farina, uova, burro e zucchero, questo dolce pasquale è farcito con uva sultanina, cedro e scorze d’arancia.


Ciaramicola – Umbria

Tra i dolci pasquali tipici della provincia di Perugia, la più caratteristica è la ciaramicola, una torta a forma di ciambella, con la pasta al centro a mo’ di croce.
Pochi e semplici gli ingredienti che la compongono: zucchero, farina, uova, latte e alchermes, che conferisce alla ciaramicola il tipico colore rosso brillante.
A impreziosire il tutto vi è poi una dolce copertura fatta di croccante 
meringa e confettini colorati.
In origine la ciaramicola, il cui nome deriva da “ciaramella” per via della forma circolare del dolce, era preparata dalle promesse spose ai fidanzati e regalata in occasione della Pasqua.
I colori sono quelli tipici dello stemma araldico del capoluogo umbro e i confettini hanno un valore augurale.


Pizza dolce – Lazio

È dolce, ha la forma di un panettone e nel viterbese è una tappa obbligata della Pasqua: è la pizza dolce, un vero must della colazione pasquale.
Si mangia da sola inzuppata nella cioccolata calda o nel latte, ma a Roma viene accompagnata anche con salame o uova sode.
La crosta esterna si presenta dura e lucente grazie alla cottura nel forno a legna e l’aspetto interno è tanto più giallo quante sono le uova impiegate.
L’impasto base è realizzato con farina, uova, zucchero, latte, burro e lievito, a cui vengono aggiunti scorze di agrumi, cioccolato, uvetta sultanina, rhum e alchermes.
Molto comune nel viterbese, la pizza dolce di Pasqua si trova anche nelle vicine province dell’Umbria e Marche. 


Pastiera – Campania

Tra i dolci pasquali più famosi al mondo, una protagonista assoluta è la pastiera napoletana.
Nota fin dal 1600, questa torta viene comunemente servita alla fine del pranzo pasquale in tutta la Campania, dopo un pranzo che inizia con il classico casatiello napoletano.
Dorata e croccante esternamente, morbida e profumata all’interno, la pastiera è una torta di pasta frolla con un ripieno ricco e sostanzioso a base di ricotta fresca, zucchero, uova, frutta candita e grano bollito nel latte.
La tradizione napoletana prevede l’utilizzo di 
acqua millefiori, vaniglia, canditi e scorza d’arancia, ma esistono anche varianti alla crema pasticcera e cioccolato bianco.
In origine, la pastiera era preparata nel periodo compreso tra Epifania e Pasqua: questo intervallo di tempo, secondo la tradizione locale, era considerato il migliore sia per la ricotta, sia per il grano. Oggi che il grano si trova in commercio conservato e venduto già cotto nei vasetti, questo dolce è proposta durante tutto l’anno.


Cuzzupe – Calabria 

Dolce tipico della Calabria, anche se a seconda dei luoghi varia il nome (angute, sgute, cudduraci…), la cuzzupa è irrinunciabile nelle festività pasquali.
Di derivazione contadina, le cuzzupe sono solitamente preparate in anticipo e si conservano per il giorno di Pasqua. La forma più classica è quella della ciambella, ma sono molto diffuse le varianti più fantasiose: bambole, cuori, uccellino, farfalle o cuculi, dei filoncini alla cui estremità è messo un uovo.
Farina, strutto, lievito di birra, limone, uova e anice gli ingredienti usati per questo dolce che ha origini orientali e simboleggia la fine del digiuno quaresimale.
Nella tradizione calabrese il numero delle uova impiegate per la cuzzupa ha un significato ben preciso: se la suocera usa 
sette uova nel dolce regalato al genero vuol dire che è in arrivo il matrimonio, se invece ne usa nove è rinnovata la promessa di fidanzamento. Semplici e colorate, le cuzzupe vengono decorate con confettini e codette.


Agnello di pasta reale – Sicilia

Oltre ai classici cannoli, alla cassata e alla popolare cuddhura (dolce pasquale di forma circolare e decorato con un numero variabile di uova), in Sicilia, a Pasqua, un posto d’eccezione spetta all’agnello di pasta reale.
Nato con molta probabilità agli inizi del ‘900, questo dolce, in origine preparato dalle suore del convento di Favara, è un alimento piuttosto corposo e saporito.
L’interno è costituito da 
pasta reale – ricavata dalla lavorazione di mandorle tritate, acqua e zucchero – e da un ripieno di pasta di pistacchio, realizzato invece con acqua, zucchero e pistacchi tritati. A completare l’agnello di pasta reale c’è una decorazione con zucchero fondente.

Pardulas – Sardegna 

I dolci pasquali tipici in tutta la Sardegna sono le pardulas, piccole tortine dalla forma a stella di sei punte che a seconda della città cambiano nome e si arricchiscono di nuovi ingredienti.
Cotti tradizionalmente nel forno a legna, questi dolci pasquali vengono farciti con un delizioso ripieno a base di formaggio fresco, ricotta, uvetta, scorza di limone grattugiata e profumati di norma con vaniglia o zafferano.
Il tutto è poi cosparso di miele e confettini colorati.
In alcune zone della Sardegna le pardulas si possono trovare anche in una versione all’aroma di arancia o di limone, o più raramente in una variante con l’uvetta.