Addio all’uomo che ha cambiato il vino

[:it]Giacomo-Tachis-01-kuTE-U10709151053dMC-1024x576@LaStampa.itla redazione – Da questo sabato il mondo del vino non sarà più lo stesso. Giacomo Tachis si è spento dopo una lunga malattia nella sua casa e fra i preziosi volumi del suo bue ritiro toscano.
Piemontese di nascita ma toscano d’adozione il “mescolavini” come amava definirsi è uomo a cui tutta l’enologia moderna deve qualcosa.

Il re degli enologi aveva 82 anni e a lui si devono creature preziose quali i supertuscan Tignanello, Solaia, Sassicaia, e i sardi Terre Brune e Turriga.

“Tutto il mondo del vino si inchini” scrivono dal Gambero Rosso in un tweet che parla della scomparsa di “un protagonista assoluto, artefice tecnico del Rinascimento enologico tricolore“.

Storico direttore delle Cantine Antinori per 32 anni, ha saputo condurre, come ha ricordato il marchese Piero Antinori nel libro “Tignanello  “una storia toscana”, scelte audaci ed innovative: per quel vino ora sulle tavole dei grandi del mondo la prima volta venne superato il disciplinare della zona (il Chianti Classico), si utilizzò la fermentazione malolattica e si passò all’invecchiamento in barriques, anziché in botti.

Nel 2014 gli fu conferita la medaglia d’oro con il simbolo del Pegaso, massima onorificenza della Regione Toscana, consegnata alla figlia Ilaria perché già impossibilitato a muoversi.
In quella circostanza Antinori disse: “riconoscimento meritatissimo, e lo dico a nome di tutti i colleghi toscani e da italiano, perché tutti noi dobbiamo essere molto, ma molto grati a Tachis per la sua opera”.

Grati anche per la carica d’ottimismo che l’enologo riconosciuto come il fautore del Rinascimento italiano dava al settore. Tachis amava ripetere:
“Il vino non conoscerà mai crisi perché la gente lo beve e lo berrà sempre”.
Tra le sue grandi lezioni, saper armonizzare la visione tecnica con il sentimento incredibilmente poetico del vino, che definiva – citando Galileo – come “composto di umore e di luce”.

 [:en]Giacomo-Tachis-01-kuTE-U10709151053dMC-1024x576@LaStampa.itla redazione – Da questo sabato il mondo del vino non sarà più lo stesso. Giacomo Tachis si è spento dopo una lunga malattia nella sua casa e fra i preziosi volumi del suo bue ritiro toscano.
Piemontese di nascita ma toscano d’adozione il “mescolavini” come amava definirsi è uomo a cui tutta l’enologia moderna deve qualcosa.

Il re degli enologi aveva 82 anni e a lui si devono creature preziose quali i supertuscan Tignanello, Solaia, Sassicaia, e i sardi Terre Brune e Turriga.

“Tutto il mondo del vino si inchini” scrivono dal Gambero Rosso in un tweet che parla della scomparsa di “un protagonista assoluto, artefice tecnico del Rinascimento enologico tricolore“.

Storico direttore delle Cantine Antinori per 32 anni, ha saputo condurre, come ha ricordato il marchese Piero Antinori nel libro “Tignanello  “una storia toscana”, scelte audaci ed innovative: per quel vino ora sulle tavole dei grandi del mondo la prima volta venne superato il disciplinare della zona (il Chianti Classico), si utilizzò la fermentazione malolattica e si passò all’invecchiamento in barriques, anziché in botti.

Nel 2014 gli fu conferita la medaglia d’oro con il simbolo del Pegaso, massima onorificenza della Regione Toscana, consegnata alla figlia Ilaria perché già impossibilitato a muoversi.
In quella circostanza Antinori disse: “riconoscimento meritatissimo, e lo dico a nome di tutti i colleghi toscani e da italiano, perché tutti noi dobbiamo essere molto, ma molto grati a Tachis per la sua opera”.

Grati anche per la carica d’ottimismo che l’enologo riconosciuto come il fautore del Rinascimento italiano dava al settore. Tachis amava ripetere:
“Il vino non conoscerà mai crisi perché la gente lo beve e lo berrà sempre”.
Tra le sue grandi lezioni, saper armonizzare la visione tecnica con il sentimento incredibilmente poetico del vino, che definiva – citando Galileo – come “composto di umore e di luce”.

 [:]

Lunigiana: Zeri si tiene la sua acqua!

[:it]acquadi Nadia Fondelli –  Davide contro Golia. Il no a oltranza di Zeri – ultimo paese di Toscana nell’alfabeto e nell’interesse pubblico – nel voler soggiacere alla Spa dell’acqua fa notizia.
Ma la notizia è la ribellione di Zeri o il “signorsì” degli altri 287 paesi della regione?

C’era una volta l’acqua come bene pubblico; peraltro sancito dalla nostra costituzione e c’è stato solo pochi anni fa, nel 2011, un referendum in cui si è sperperato denaro pubblico per far dire agli italiani con un plebiscito di oltre il 96% una cosa scontata: volete che l’acqua sia di tutti?

E certo! Mica volevano gli italiani foraggiare il poltronificio di quelle Spa a capitale pubblico denominati enti di gestione delle acque che in cambio di millantante buone gestioni stanno solo frugato nelle tasche degli utenti col il doppio e triplo da pagare rispetto a quanto consumato.

A Zeri non ci stanno e nonostante le 7 diffide ricevute dal 2004 ad oggi e la recente minaccia del Governatore Rossi di inviare un commissario e multare il comune tirano dritti.

Del resto hanno dalla loro la costituzione, la logica del buon senso e un contorto gioco degli equivoci.
Il regolamento regionale impone infatti di “consegnare le infrastrutture idriche” ma solo dopo “ricognizione atta a individuare il perimetro delle infrastrutture stesse” mai avvenuta.

Il sindaco Egidio Pedrini è alla testa della ribellione di un popolo montanaro che vive in un posto meraviglioso – ricordato solo quando si tratta di contar voti – con un piede in Emilia, uno in Liguria e uno nel Granducato e a lui, come a tutti quelli di Zeri, non piace allinearsi al volere del più forte.

In queste tre valli chiuse e impervie peraltro ricchissime di sorgenti e torrenti che formano il comune l’isolamento è forza e virtù.
Lo sapevano bene i romani costretti a costruire la Francigena non a caso più a nord, lo sapeva bene Napoleone rimbalzato dopo Borgotaro e costretto a tornare in Emilia e più recentemente i nazisti che qui hanno trovato una grande resistenza al punto che a Rossano di Zeri il maggiore inglese Gordon Lett formò la brigata partigiana internazionale.

“Questa comunità – racconta Oscar Bandini presidente dell’Associazione culturale delle Valli di Zeri – ha fruito delle proprie risorse per sopravvivere e l’acqua come è facilmente intuibile è indispensabile a ciò.
Qua le persone possono sopravvivere allo stato brado mangiando radici e bacche spontanee, ma senza l’acqua sarebbe la morte per tutto il territorio. La comunità zerasca, in buona parte composta da pensionati ed ultrasettantenni con pensioni inferiori ai 500 euro mensili, privi quasi totalmente di servizi pubblici, non subiranno un aumento delle tariffe sul sistema idrico?”

Difficile rispondere che non sarà così dato che negli altri paesi della Lunigiana sono incavolati neri dato che con la gestione di Gaia spa le bollette sono lievitate di quasi tre volte.

Difficile non stare con gli zeraschi e facile invece comprendere che: “La sensazione insopportabile e inaccettabile – prosegue Bandini – è che con queste minacce si voglia impoverire il territorio mettendo in seria prospettiva l’esistenza  stessa di una comunità fatta di popolazione anziana e indigente che già soffre del crescente spopolamento e abbandono delle giovani generazioni per mancanza di lavoro e prospettive.”
E perchè stupirsi allora del loro non voler foraggiare il poltronificio?

Stupisce piuttosto il tacere di tutti; soprattutto di coloro che solo pochi anni fa scendevano in piazza a urlare che l’acqua è un bene pubblico. Stupisce che quei politici in prima fila allora tacciano oggi. Stupisce che non s’indignino nel constatare che, anche quel referendum è stato solo fuffa.

A Zeri non fanno le barricate. A Zeri non frega niente di diventare un caso. A Zeri interessa solo che l’acqua rimanga ciò che è: un bene di tutti.

A Zeri continuano la vita semplice di montagna fra servizi pubblici inesistenti promessi sotto elezioni; fra pascoli bucolici dell’agnello zerasco presidio slow food; fra strade che se franano si deve aspettare mesi se non anni per vedere un operario a ripararle; fra contraddizione di leggi che sbugiardano se stesse e il volere degli italiani.
Ma a Zeri dicono no e aspettano…

Arriverà il commissario oppure dato che le elezioni regionali non sono poi così lontane finirà tutto a tarallucci e vino?[:en]acquadi Nadia Fondelli –  Davide contro Golia. Il no a oltranza di Zeri – ultimo paese di Toscana nell’alfabeto e nell’interesse pubblico – nel voler soggiacere alla Spa dell’acqua fa notizia.
Ma la notizia è la ribellione di Zeri o il “signorsì” degli altri 287 paesi della regione?

C’era una volta l’acqua come bene pubblico; peraltro sancito dalla nostra costituzione e c’è stato solo pochi anni fa, nel 2011, un referendum in cui si è sperperato denaro pubblico per far dire agli italiani con un plebiscito di oltre il 96% una cosa scontata: volete che l’acqua sia di tutti?

E certo! Mica volevano gli italiani foraggiare il poltronificio di quelle Spa a capitale pubblico denominati enti di gestione delle acque che in cambio di millantante buone gestioni stanno solo frugato nelle tasche degli utenti col il doppio e triplo da pagare rispetto a quanto consumato.

A Zeri non ci stanno e nonostante le 7 diffide ricevute dal 2004 ad oggi e la recente minaccia del Governatore Rossi di inviare un commissario e multare il comune tirano dritti.

Del resto hanno dalla loro la costituzione, la logica del buon senso e un contorto gioco degli equivoci.
Il regolamento regionale impone infatti di “consegnare le infrastrutture idriche” ma solo dopo “ricognizione atta a individuare il perimetro delle infrastrutture stesse” mai avvenuta.

Il sindaco Egidio Pedrini è alla testa della ribellione di un popolo montanaro che vive in un posto meraviglioso – ricordato solo quando si tratta di contar voti – con un piede in Emilia, uno in Liguria e uno nel Granducato e a lui, come a tutti quelli di Zeri, non piace allinearsi al volere del più forte.

In queste tre valli chiuse e impervie peraltro ricchissime di sorgenti e torrenti che formano il comune l’isolamento è forza e virtù.
Lo sapevano bene i romani costretti a costruire la Francigena non a caso più a nord, lo sapeva bene Napoleone rimbalzato dopo Borgotaro e costretto a tornare in Emilia e più recentemente i nazisti che qui hanno trovato una grande resistenza al punto che a Rossano di Zeri il maggiore inglese Gordon Lett formò la brigata partigiana internazionale.

“Questa comunità – racconta Oscar Bandini presidente dell’Associazione culturale delle Valli di Zeri – ha fruito delle proprie risorse per sopravvivere e l’acqua come è facilmente intuibile è indispensabile a ciò.
Qua le persone possono sopravvivere allo stato brado mangiando radici e bacche spontanee, ma senza l’acqua sarebbe la morte per tutto il territorio. La comunità zerasca, in buona parte composta da pensionati ed ultrasettantenni con pensioni inferiori ai 500 euro mensili, privi quasi totalmente di servizi pubblici, non subiranno un aumento delle tariffe sul sistema idrico?”

Difficile rispondere che non sarà così dato che negli altri paesi della Lunigiana sono incavolati neri dato che con la gestione di Gaia spa le bollette sono lievitate di quasi tre volte.

Difficile non stare con gli zeraschi e facile invece comprendere che: “La sensazione insopportabile e inaccettabile – prosegue Bandini – è che con queste minacce si voglia impoverire il territorio mettendo in seria prospettiva l’esistenza  stessa di una comunità fatta di popolazione anziana e indigente che già soffre del crescente spopolamento e abbandono delle giovani generazioni per mancanza di lavoro e prospettive.”
E perchè stupirsi allora del loro non voler foraggiare il poltronificio?

Stupisce piuttosto il tacere di tutti; soprattutto di coloro che solo pochi anni fa scendevano in piazza a urlare che l’acqua è un bene pubblico. Stupisce che quei politici in prima fila allora tacciano oggi. Stupisce che non s’indignino nel constatare che, anche quel referendum è stato solo fuffa.

A Zeri non fanno le barricate. A Zeri non frega niente di diventare un caso. A Zeri interessa solo che l’acqua rimanga ciò che è: un bene di tutti.

A Zeri continuano la vita semplice di montagna fra servizi pubblici inesistenti promessi sotto elezioni; fra pascoli bucolici dell’agnello zerasco presidio slow food; fra strade che se franano si deve aspettare mesi se non anni per vedere un operario a ripararle; fra contraddizione di leggi che sbugiardano se stesse e il volere degli italiani.
Ma a Zeri dicono no e aspettano…

Arriverà il commissario oppure dato che le elezioni regionali non sono poi così lontane finirà tutto a tarallucci e vino?[:]

Firenze: Pitti a modo mio, il Carnevalsseraglio della moda

[:it]11427407_10154017694118289_191281304059756999_o-1000x600di Nadia Fondelli –  36 mila presenze di cui 25mila buyer con un bel 4% in più rispetto alla precedente tornata invernale. Altro record che si aggiunge alla presenza di ben 1219 espositori.

“Siamo contentissimi di questo Pitti Uomo – afferma l’amministratore delegato di Pitti Immagine Raffaello Napoleone – per l’atmosfera di grande positività che si è respirata negli stand e nelle facce di tutti protagonisti”.

E se è contento lui lo siamo tutti. Del resto il made in Italy tira e parecchio, ma non è una novità.
Nella speranza che qualcuno nelle alte stanze dei bottoni si decida a difendere davvero il bello e il buono del bel paese a fatti e non solo a parole, anche noi, che abbiamo consumato suole fra i padiglioni dell’appena trascorso Pitti Uomo invernale più caldo degli ultimi anni metereologicamente parlando vogliamo, in pillole dire la nostra.

Fra il serio e il faceto senza avere la pretesa di essere intenditori di out fit, ma semplici cronisti attenti a ciò che ci gira intorno.
Pitti del resto, così come il festival di Sanremo, è luogo dove devi essere. E non è banale riflettere sulla non troppo strana coincidenza che, questi due mondi variegati e variopinti cadono proprio in pieno Carnevale…

Cosa emerge da Pitti? Quali tendenze? Come si vestirà l’uomo la prossima stagione?
Iniziamo dal fondo ovvero dicendo che sfido chiunque ad affermare di poter incontrare trafelato in autobus la mattina il ragionier Rossi vestito con panciotto zebrato o pantalone altezza polpaccio con calzini di due colori diversi (roba che a Pitti era routine).

Emerge tutto e niente e le tendenze sono: classico, trendy, metropolitano, tribale, ecologico, tecnologico, naturale, e via discorrendo con tutti gli altri mirabolanti aggettivi che i colleghi del settore hanno scritto nei loro pezzi letti in rassegna stampa.

Ordunque se è vero che Pitti Uomo oggi offre tendenze per tutti i gusti e altrettanto vero che la moda è qualcosa di molto simile a un quadro astratto dove ognuno vede ciò che vuol vedere.
Personalmente nei miei cassettini della memoria è rimasta l’emozionante passione di un piccolo artigiano friulano, Drogheria Crivellini che ha riportato le tipiche Scarpets alle sue origini.
Ovvero vecchia gomma di bicicletta come suola e tessuto non sempre dello stesso bagno di colore per il resto della scarpa. Quella era l’unica scarpa possibile – grazie agli avanzi -dei contadini friulani e non ha niente a che fare con la fighettitudine finta pantofola lusso sdoganata da tanti stilisti per vip da Costa Smeralda negli ultimi anni.

Bella anche la nuova vita regalata al cappello (uno degli accessori di culto dei tempi moderni) da Doria 1905 che, con un secolo di storia alle spalle ha avuto il coraggio di rivisitare i grandi classici con colori, inserti modaioli adatti a tutti, specie se dai 30 anni in giù. Applausi perché altri hanno avuto solo la forza di farsi spingere dall’onda rispolverando i modellini dei tempi che furono.

Per il resto occhi strabuzzanti ad ammirare mise bizzarre per gli annoiati poliziotti costretti per giorni davanti alla Fortezza in nome della sicurezza a tutti i costi dell’apparenza; tanto finto buonismo e political correct con le ispirazioni all’Africa e la sfilata con tre migranti mentre nel Mediterraneo continuano le stragi dei viaggi della speranza e poi che barba… tutte quelle barbe false hipster e vittoriane che ci fanno solo convincere di un fatto: fantasia e personalità zero, anche nel regno della moda![:en]11427407_10154017694118289_191281304059756999_o-1000x600di Nadia Fondelli –  36 mila presenze di cui 25mila buyer con un bel 4% in più rispetto alla precedente tornata invernale. Altro record che si aggiunge alla presenza di ben 1219 espositori.

“Siamo contentissimi di questo Pitti Uomo – afferma l’amministratore delegato di Pitti Immagine Raffaello Napoleone – per l’atmosfera di grande positività che si è respirata negli stand e nelle facce di tutti protagonisti”.

E se è contento lui lo siamo tutti. Del resto il made in Italy tira e parecchio, ma non è una novità.
Nella speranza che qualcuno nelle alte stanze dei bottoni si decida a difendere davvero il bello e il buono del bel paese a fatti e non solo a parole, anche noi, che abbiamo consumato suole fra i padiglioni dell’appena trascorso Pitti Uomo invernale più caldo degli ultimi anni metereologicamente parlando vogliamo, in pillole dire la nostra.

Fra il serio e il faceto senza avere la pretesa di essere intenditori di out fit, ma semplici cronisti attenti a ciò che ci gira intorno.
Pitti del resto, così come il festival di Sanremo, è luogo dove devi essere. E non è banale riflettere sulla non troppo strana coincidenza che, questi due mondi variegati e variopinti cadono proprio in pieno Carnevale…

Cosa emerge da Pitti? Quali tendenze? Come si vestirà l’uomo la prossima stagione?
Iniziamo dal fondo ovvero dicendo che sfido chiunque ad affermare di poter incontrare trafelato in autobus la mattina il ragionier Rossi vestito con panciotto zebrato o pantalone altezza polpaccio con calzini di due colori diversi (roba che a Pitti era routine).

Emerge tutto e niente e le tendenze sono: classico, trendy, metropolitano, tribale, ecologico, tecnologico, naturale, e via discorrendo con tutti gli altri mirabolanti aggettivi che i colleghi del settore hanno scritto nei loro pezzi letti in rassegna stampa.

Ordunque se è vero che Pitti Uomo oggi offre tendenze per tutti i gusti e altrettanto vero che la moda è qualcosa di molto simile a un quadro astratto dove ognuno vede ciò che vuol vedere.
Personalmente nei miei cassettini della memoria è rimasta l’emozionante passione di un piccolo artigiano friulano, Drogheria Crivellini che ha riportato le tipiche Scarpets alle sue origini.
Ovvero vecchia gomma di bicicletta come suola e tessuto non sempre dello stesso bagno di colore per il resto della scarpa. Quella era l’unica scarpa possibile – grazie agli avanzi -dei contadini friulani e non ha niente a che fare con la fighettitudine finta pantofola lusso sdoganata da tanti stilisti per vip da Costa Smeralda negli ultimi anni.

Bella anche la nuova vita regalata al cappello (uno degli accessori di culto dei tempi moderni) da Doria 1905 che, con un secolo di storia alle spalle ha avuto il coraggio di rivisitare i grandi classici con colori, inserti modaioli adatti a tutti, specie se dai 30 anni in giù. Applausi perché altri hanno avuto solo la forza di farsi spingere dall’onda rispolverando i modellini dei tempi che furono.

Per il resto occhi strabuzzanti ad ammirare mise bizzarre per gli annoiati poliziotti costretti per giorni davanti alla Fortezza in nome della sicurezza a tutti i costi dell’apparenza; tanto finto buonismo e political correct con le ispirazioni all’Africa e la sfilata con tre migranti mentre nel Mediterraneo continuano le stragi dei viaggi della speranza e poi che barba… tutte quelle barbe false hipster e vittoriane che ci fanno solo convincere di un fatto: fantasia e personalità zero, anche nel regno della moda![:]

Firenze: corri Luca, corri

[:it]DSCF8868di Nadia Fondelli –  Esistono momenti profondi e intensi e il cronista oggi ne ha vissuto uno bellissimo grazie a Luca Panichi mezzofondista di buon livello, classe 1969, che sta combattendo la sua gara più dura: quella contro un cancro al polmone.

E’ luogo comune dire che lo sport è soprattutto scuola di vita anche se questo concetto oggi è rimasto troppo spesso solo un luogo comune. Luca Panichi oggi ha dato una grande lezione di vita a tutti coloro che come si sono recati nella sede della gloriosa società Assi Gigli Rosso per assistere alla presentazione del suo libro “La mia storia continua” proprio “là dove tutto ebbe inizio” come recita la locandina di presentazione dell’evento.

Luca si è innamorato dell’atletica, proprio sulla pista degli Assi fin dal 1979. Poco più di un bambino lungo e magro che venendo dalla Rufina si è trovato a macinar chilometri sulla “pista” per elezione di Firenze con una generazione di atleti di grande livello di cui “Cannone”, come lo chiamavano gli amici, era una delle punte di diamante al punto di essere riuscito poi a chiudere una maratona di New York in 2h27’00 una di Firenze in 2h24’10, una mezza a Milano in 1h06’00 e dei 10.000 in 29’52”30.
Luca oggi sta gareggiando contro il nemico più tosto che esista al confronto del quale  il miglior keniano è un pivello: il cancro.
Quando nel dicembre 2012 arrivò la diagnosi dura e crudele Luca ha fatto partire il cronometro di questa sua gara difficilissima e quasi impossibile.
“Avevo due scelte – ha raccontato – mettermi sul divano e disperarmi oppure infilare le scarpe, uscire e cominciare a correre contro questo avversario. E così ho fatto”.
Tutta la sua gara fino ad oggi percorsa è raccontata nel libro “La mia corsa continua”  in cui racconta la sua storia di uomo e di atleta, intersecata con la malattia.

Una decisione coraggiosa la sua quella d mettere in piazza la malattia anche per esorcizzarla, motivata dalla necessità di lasciare una testimonianza forte sul fatto che, gli insegnamenti che ciascun atleta trae dalla sua pratica sportiva possono essergli utili e preziosi per affrontare anche le difficoltà nella vita.
Una testimonianza che è indirizzata anche a coloro che oggi non sanno essere più educatori e formatori sui tartan, ma esasperano la tecnica cercano solo il risultato.

Fiducia, speranza fede, amore e grinta i sentimenti che lo guidano in questa battaglia durissima che Luca combatte con serenità giorno dopo giorno.

Il volumetto tutto da leggere per capire i veri valori dello sport è introdotto da una breve introduzione di Stefano Mei, amico di Luca nella vita e nello sport.
Da ricordare che il ricavato delle vendite andrà al Reparto di Oncologia dell’Ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze e all’Associazione “www.pierogiacomelli.com”.[:en]DSCF8868di Nadia Fondelli –  Esistono momenti profondi e intensi e il cronista oggi ne ha vissuto uno bellissimo grazie a Luca Panichi mezzofondista di buon livello, classe 1969, che sta combattendo la sua gara più dura: quella contro un cancro al polmone.

E’ luogo comune dire che lo sport è soprattutto scuola di vita anche se questo concetto oggi è rimasto troppo spesso solo un luogo comune. Luca Panichi oggi ha dato una grande lezione di vita a tutti coloro che come si sono recati nella sede della gloriosa società Assi Gigli Rosso per assistere alla presentazione del suo libro “La mia storia continua” proprio “là dove tutto ebbe inizio” come recita la locandina di presentazione dell’evento.

Luca si è innamorato dell’atletica, proprio sulla pista degli Assi fin dal 1979. Poco più di un bambino lungo e magro che venendo dalla Rufina si è trovato a macinar chilometri sulla “pista” per elezione di Firenze con una generazione di atleti di grande livello di cui “Cannone”, come lo chiamavano gli amici, era una delle punte di diamante al punto di essere riuscito poi a chiudere una maratona di New York in 2h27’00 una di Firenze in 2h24’10, una mezza a Milano in 1h06’00 e dei 10.000 in 29’52”30.
Luca oggi sta gareggiando contro il nemico più tosto che esista al confronto del quale  il miglior keniano è un pivello: il cancro.
Quando nel dicembre 2012 arrivò la diagnosi dura e crudele Luca ha fatto partire il cronometro di questa sua gara difficilissima e quasi impossibile.
“Avevo due scelte – ha raccontato – mettermi sul divano e disperarmi oppure infilare le scarpe, uscire e cominciare a correre contro questo avversario. E così ho fatto”.
Tutta la sua gara fino ad oggi percorsa è raccontata nel libro “La mia corsa continua”  in cui racconta la sua storia di uomo e di atleta, intersecata con la malattia.

Una decisione coraggiosa la sua quella d mettere in piazza la malattia anche per esorcizzarla, motivata dalla necessità di lasciare una testimonianza forte sul fatto che, gli insegnamenti che ciascun atleta trae dalla sua pratica sportiva possono essergli utili e preziosi per affrontare anche le difficoltà nella vita.
Una testimonianza che è indirizzata anche a coloro che oggi non sanno essere più educatori e formatori sui tartan, ma esasperano la tecnica cercano solo il risultato.

Fiducia, speranza fede, amore e grinta i sentimenti che lo guidano in questa battaglia durissima che Luca combatte con serenità giorno dopo giorno.

Il volumetto tutto da leggere per capire i veri valori dello sport è introdotto da una breve introduzione di Stefano Mei, amico di Luca nella vita e nello sport.
Da ricordare che il ricavato delle vendite andrà al Reparto di Oncologia dell’Ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze e all’Associazione “www.pierogiacomelli.com”.DSCF8868[:]

Cassa o casse? Sangiovese questo sconosciuto

1528731_10205553013883283_892253552783764807_ndi Nadia Fondelli – Anche quest’anno è giunta alla fine la lunga settimana del vino toscano che, come da copione si era aperta con ottimismo e mirabilie. In questa settimana magica svaniscono d’improvviso i piagnistei e le imprecazioni contro Giove pluvio e i sorrisi di tutti luccicano come i cristalli appena puliti e pronti per le degustazioni. Ha aperto le danze il Chianti Docg, poi è stata la volta dei territori emergenti (Bolgheri, Morellino, Montecucco, Cortona, Carmignano e Valdarno) poi la Vernaccia, il Chianti Classico, il Nobile e si è chiuso con il Brunello di Montalcino. Produttori, buyer, sommelier, giornalisti ed esperti si sono sfiancati fra bottiglie per una lunga settimana. Hanno letto, si sono informati, hanno degustato, si sono fatti un’idea. Giusta o sbagliata che sia, ma purtroppo spesso appiattita verso il basso. Un’idea frutto del compromesso, della diplomazia. Un’idea che ricalca a carta carbone le mirabilie iniziali annunciate da produttori, presidenti di Consorzio e assessori. I numeri recitano: record di esportazioni per il 2014 con 760 milioni di euro; produzioni tornate ai livelli del 2009; 2.8 milioni di ettolitri; export cresciuto del 1,8%; valori stabili sui mercati storici (Nord America e Europa); e nei paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina);  exploit in paesi molto lontani come Australia con un +43,7%, Messico +35%, e Corea del Sud +109%. E dal recente Buy  Wine è emerso anche che al termine degli incontri fra 280 produttori toscani e 300 importatori internazionali una soddisfazione del 90%. Mirabilie appunto e l’Assessore Salvatori si struscia giustamente le dichiarando il nostro nettare di Bacco perfetto ambasciatore del buon vivere toscano. Dovremmo quindi solo inchinarci davanti a questi verdetti della matematica? Io non ci sto. Non mi sono mai piaciuti né i compromessi né le idee appiattite. Soprattutto, il mio padre giornalistico mi ha sempre insegnato che in questo mestiere si deve dire la verità e io alla mia verità ci tengo. Non potendo fare il gran tour vinicolo ho scelto di andare sul sicuro e provare il Chianti Classico; sarà perché lo sento più mio bazzicando quel territorio da tempi non sospetti. Ebbene di una cosa sono certa se è vero che siamo tornati ai livelli del 2009 questo mi preoccupa. E nel bicchiere si sente. Il Sangiovese torna ad essere massacrato in nome dell’internazionalizzazione. I vini che negli ultimi anni erano tornati a profumar di Toscana e a riacquisire personalità e carattere stanno rovinosamente tornando all’appiattimento gustativo. E pensare che il Consorzio del Chianti Classico ha introdotta anche la Gran Selezione per qualificare ancora di più. In realtà è stata più un’ottima idea per gli uomini marketing che per i re della cantina. Ho assaggiato Gran Selezioni del 2010 e del 2009 rosse brillanti e trasparenti come l’acqua. Ho assaggiato Riserve di grande etichetta che se chiudevo gli occhi potevo scambiare per altro. Ma ai mercati internazionali piace così! I numeri danno ragione ai massacratori del Sangiovese e poco importa se il vino toscano non sa di Toscana. E’ meglio conquistare il palato di un coreano e fare un vino di “fabbrica” che sa di legno oppure lasciare che il Sangiovese faccia il Sangiovese? Io preferisco un vino scorbutico e caratteriale come il Sangiovese che sappia di Sangiovese, ma ad ognuno la sua idea nella certezza che, alla faccia del gusto quella che vincerà sarà l’idea che farà più cassa!

Un italiano, un grande fiorentino

Un italiano, un grande fiorentino

giovanni-spadolini-480x400di Nadia Fondelli –  Un grande fiorentino, o meglio un italiano come è scritto sulla sua tomba nel cimitero monumentale delle Porte Sante di San Miniato al Monte. Questo è stato Giovanni Spadolini.
Tanti sono infatti gli appellattivi con cui potremmo definire questo grande fiorentino:  giornalista, politico e storico.
Era nato a Firenze nel 1925 da una buona famiglia di cultura artistica ed umanista. Ha respirato aria buona a Pian dei Giullari fra gli enormi scaffali di libri, soprattutto d’arte, conservati dal padre Giulio, buon pittore macchiaiolo.
Quasi naturale quindi che, ben presto, si appassionasse ai libri e al giornalismo collaborando con testate quali Il Corriere della Sera, Il Messaggero e Il Resto del Carlino di cui divenne direttore a soli 29 anni.

Fu un bravissimo divulgatore al punto che, l’Università di Firenze, creò addirittura per lui la cattedra di storia contemporanea alla Cesare Alfieri.
Fu poi presidente del consiglio d’amministrazione alla Bocconi di Milano, creatore della Fondazione Nuova Antologia e presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Benedetto Croce.

Per i più è celebre soprattutto per la sua lunga e fulgida carriera politica che l’ha visto diventare senatore del partito repubblicano italiano dal 1972 e poi Ministro dei beni culturali, della cultura, della difesa, della pubblica istruzione, Primo Ministro (il primo non democristiano), Presidente del Senato e Presidente della Repubblica ad interim e Senatore a vita.

Nonostante la brillante carriera giornalistica, accademica e politica non ha dimenticato mai la sua Firenze, anzi.

Appena libero da impegni istituzionali si rifugiava sempre nella sua Pian dei Giullari ed era ospite fisso nella storica trattoria da Omero dove, in sua compagnia è stata seduta a quei tavoli la storia mondiale di un ventennio.

La già grande biblioteca del padre è diventata con lui una biblioteca fondamentale per Firenze, la Fondazione Nuova Antologia è diventata uno dei cardini culturali d’Italia e la sua casa di Pian dei Giullari una grande casa museo preziosa per la città.

Un italiano, un grande fiorentino che ci ha lasciato troppo presto, venti anni fa. Un grande fiorentino che ha portato la sua città come vanto nel mondo.
Un amore spassionato che si legge fra le righe del suo libro postumo “La mia Firenze” dove  struggentemente ripercorre la sua vita fra odori, colori e sapori dimenticati della Firenze che fu.

Un italiano, un grande fiorentino forse troppo dimenticato.