Pecorino Toscano Dop: cresce il mercato nazionale e l’export

[:it]12801510_10208743324411050_2847943363918180735_na cura della redazione Oltre 17,5 milioni di litri di latte lavorato per il Pecorino Toscano DOP, oltre un milione e 361 mila forme prodotte e quasi 1 milione e 103 mila forme vendute, tra tenero e stagionato.  Sono questi i numeri che raccontano il 2015 del Consorzio tutela Pecorino Toscano DOP.
Significativo il dato sulle esportazioni, cresciute del 17,17%, grazie alla maggiore domanda di Pecorino Toscano DOP dall’estero e, in particolare, dagli USA e dall’Europa.

“I numeri del 2015 – afferma il presidente del Consorzio di tutela del Pecorino Toscano DOP, Carlo Santarelli – confermano una situazione positiva sia per la produzione che per le vendite.
Negli ultimi mesi dell’anno, inoltre, abbiamo registrato un lieve incremento nella produzione di latte e questo fa ben sperare per il 2016, con l’auspicio di poter rispondere in maniera più esauriente anche alla richiesta di Pecorino Toscano DOP stagionato.
Stabile e sempre alta anche la qualità del prodotto, con un miglioramento della qualità del latte a conferma del lavoro attento e professionale che stanno portando avanti i nostri allevatori e i nostri caseifici.
Tutti insieme ogni anno riusciamo a portare sul mercato nazionale ed estero un formaggio DOP di qualità straordinaria, ambasciatore della Toscana e del Made in Italy in tutto il mondo.
Forti di questi dati, affrontiamo l’anno con l’obiettivo primario di continuare a valorizzare il Pecorino Toscano DOP puntando sulla qualità del nostro prodotto, sempre più apprezzato e pronto a sbarcare su nuovi mercati”.

Il Consorzio tutela Pecorino Toscano DOP guarda al futuro con obiettivi di ulteriore crescita e valorizzazione del prodotto.
Tra questi c’è il continuo miglioramento della qualità del latte e la possibilità di contare su una maggiore quantità di materia prima per soddisfare l’intera domanda del mercato.
Nel 2015 la produzione non è infatti, riuscita a soddisfare l’intera richiesta del mercato nazionale ed estero a causa della mancanza di latte ovino. Per rispondere a questa problematica il Consorzio presenterà un progetto alla Regione Toscana, non appena saranno operativi i bandi del Piano di Sviluppo Rurale (PSR), per poter trasferire agli allevatori le conoscenze acquisite dalle ricerche promosse insieme alla Scuola Superiore di Studi Sant’Anna di Pisa e all’Università di Pisa.

Nel 2016, inoltre, il Consorzio continuerà a lavorare con il massimo impegno per garantire la qualità del Pecorino Toscano DOP contro frodi e falsificazioni.
Per questo motivo, sosterrà ogni attività di prevenzione e repressione. Tra queste, quelle già messe in campo dalla Regione Toscana con il protocollo sottoscritto con le Procure della Repubblica di Firenze, Arezzo, Grosseto e Siena e la conseguente formazione di una task force di controllo, a tutela delle DOP e IGP assegnate ai prodotti toscani e tra i simboli principali del Made in Italy. Lo stesso impegno sarà garantito per tutelare la qualità e l’unicità del Pecorino Toscano DOP sul mercato internazionale, contro ogni possibile frode alimentare che danneggi il prodotto.

 

 [:en]12801510_10208743324411050_2847943363918180735_na cura della redazione Oltre 17,5 milioni di litri di latte lavorato per il Pecorino Toscano DOP, oltre un milione e 361 mila forme prodotte e quasi 1 milione e 103 mila forme vendute, tra tenero e stagionato.  Sono questi i numeri che raccontano il 2015 del Consorzio tutela Pecorino Toscano DOP.
Significativo il dato sulle esportazioni, cresciute del 17,17%, grazie alla maggiore domanda di Pecorino Toscano DOP dall’estero e, in particolare, dagli USA e dall’Europa.

“I numeri del 2015 – afferma il presidente del Consorzio di tutela del Pecorino Toscano DOP, Carlo Santarelli – confermano una situazione positiva sia per la produzione che per le vendite.
Negli ultimi mesi dell’anno, inoltre, abbiamo registrato un lieve incremento nella produzione di latte e questo fa ben sperare per il 2016, con l’auspicio di poter rispondere in maniera più esauriente anche alla richiesta di Pecorino Toscano DOP stagionato.
Stabile e sempre alta anche la qualità del prodotto, con un miglioramento della qualità del latte a conferma del lavoro attento e professionale che stanno portando avanti i nostri allevatori e i nostri caseifici.
Tutti insieme ogni anno riusciamo a portare sul mercato nazionale ed estero un formaggio DOP di qualità straordinaria, ambasciatore della Toscana e del Made in Italy in tutto il mondo.
Forti di questi dati, affrontiamo l’anno con l’obiettivo primario di continuare a valorizzare il Pecorino Toscano DOP puntando sulla qualità del nostro prodotto, sempre più apprezzato e pronto a sbarcare su nuovi mercati”.

Il Consorzio tutela Pecorino Toscano DOP guarda al futuro con obiettivi di ulteriore crescita e valorizzazione del prodotto.
Tra questi c’è il continuo miglioramento della qualità del latte e la possibilità di contare su una maggiore quantità di materia prima per soddisfare l’intera domanda del mercato.
Nel 2015 la produzione non è infatti, riuscita a soddisfare l’intera richiesta del mercato nazionale ed estero a causa della mancanza di latte ovino. Per rispondere a questa problematica il Consorzio presenterà un progetto alla Regione Toscana, non appena saranno operativi i bandi del Piano di Sviluppo Rurale (PSR), per poter trasferire agli allevatori le conoscenze acquisite dalle ricerche promosse insieme alla Scuola Superiore di Studi Sant’Anna di Pisa e all’Università di Pisa.

Nel 2016, inoltre, il Consorzio continuerà a lavorare con il massimo impegno per garantire la qualità del Pecorino Toscano DOP contro frodi e falsificazioni.
Per questo motivo, sosterrà ogni attività di prevenzione e repressione. Tra queste, quelle già messe in campo dalla Regione Toscana con il protocollo sottoscritto con le Procure della Repubblica di Firenze, Arezzo, Grosseto e Siena e la conseguente formazione di una task force di controllo, a tutela delle DOP e IGP assegnate ai prodotti toscani e tra i simboli principali del Made in Italy. Lo stesso impegno sarà garantito per tutelare la qualità e l’unicità del Pecorino Toscano DOP sul mercato internazionale, contro ogni possibile frode alimentare che danneggi il prodotto.[:]

Vino toscano: fra zirconi e diamanti

[:it]20160215_124550di Nadia Fondelli –  Le stelle nel firmamento del vino toscano brillano. I dati sull’export vincolo sono entusiasmanti, ma non è tutto oro quello che luccica.

Molto spesso uno zircone ben intagliato abbaglia gli occhi più di un autentico brillante e così succede nel vino che, non a caso, anche l’assessore Remaschi nella conferenza di presentazione della lunga settimana delle anteprime di Bacco ha definito “la locomotiva dell’agroalimentare della regione”.

A livello export i risultati, rimanendo ai paragoni astronomici, sono davvero a cinque stelle. La Toscana si colloca al secondo posto nazionale per valore di esportazioni dopo il Veneto e prima del Piemonte.
La quota vino regionale nel panorama italico passa dal 14,8% del 2014 al 16,7% del 2015 e addirittura, dal 2003 ad oggi, nonostante la congiuntura economica negativa e due annate non troppo favorevoli il commercio estero è aumentato del 102,4%.

Tornano a volare i mercati nord americani (+15,8%) ed europei (+5,6%), molto lunatici i paesi del BRIC con il Brasile che scende del -28,4% e la Cina che cresce del +32,4%. Ma ciò che sorprende sono Paesi emergenti anche difficili da immaginare come l’India che cresce del +120% e il Sud Africa del +140,8%. Ottime e insperate performance anche da parte di Nuova Zelanda con +19%, Israele +32,1% e perfino Emirati Arabi Uniti con un sorprendente +11,5%!

Ma anche i bianchi di Toscana meno famosi e popolari segnano cifre a doppio zero e stesso risultato lo aspettiamo a breve anche per i rosati che stanno prepotentemente tornando ad essere presenti nel corredo delle principali casate vinicole dopo un oblio di decenni grazie al loro mix di profumi, sapori e leggerezza che li rendono perfetti per ogni stagione e circostanza.

Le giovani generazioni, i cosiddetti “Millennians” nel modaiolo mondo del vino vedono la Toscana come punto di riferimento e questo fa prevedere un futuro radioso.
Beati loro. Chi invece, come chi scrive, ha qualche capello bianco, ha visto il vino passare dai bassifondi ai caveaux e dopo migliaia di degustazioni sul palato non confonde ormai gli zirconi con i diamanti.

Degustando le varie denominazioni in anteprima, non ci siamo lasciati troppo affascinare dai pomposi proclami festaioli e i budget da capogiro che accompagnano i 300 anni del Chianti Classico e al bicchiere ci siamo annoiati come ormai tradizione da molti anni.
Verrebbe da dire che serve più personalità e coraggio, ma ci siamo annoiati anche di ripetere questo.
Siamo invece rimasti favorevolmente sorpresi dagli altri vini, quelli meno osannati e con budget promozionali senza troppi zero che, ligi alla tradizione, propongono ancora sapori autentici e caratteriali infischiandosene della ruffianeria di circostanza.
Su tutti segnalo il Vin Ruspo di Carmignano straordinario esempio di rosato emergente e il
vino minerale vulcanico del Montecucco dell’Amiata.

[:en]20160215_124550di Nadia Fondelli –  Le stelle nel firmamento del vino toscano brillano. I dati sull’export vincolo sono entusiasmanti, ma non è tutto oro quello che luccica.

Molto spesso uno zircone ben intagliato abbaglia gli occhi più di un autentico brillante e così succede nel vino che, non a caso, anche l’assessore Remaschi nella conferenza di presentazione della lunga settimana delle anteprime di Bacco ha definito “la locomotiva dell’agroalimentare della regione”.

A livello export i risultati, rimanendo ai paragoni astronomici, sono davvero a cinque stelle. La Toscana si colloca al secondo posto nazionale per valore di esportazioni dopo il Veneto e prima del Piemonte.
La quota vino regionale nel panorama italico passa dal 14,8% del 2014 al 16,7% del 2015 e addirittura, dal 2003 ad oggi, nonostante la congiuntura economica negativa e due annate non troppo favorevoli il commercio estero è aumentato del 102,4%.

Tornano a volare i mercati nord americani (+15,8%) ed europei (+5,6%), molto lunatici i paesi del BRIC con il Brasile che scende del -28,4% e la Cina che cresce del +32,4%. Ma ciò che sorprende sono Paesi emergenti anche difficili da immaginare come l’India che cresce del +120% e il Sud Africa del +140,8%. Ottime e insperate performance anche da parte di Nuova Zelanda con +19%, Israele +32,1% e perfino Emirati Arabi Uniti con un sorprendente +11,5%!

Ma anche i bianchi di Toscana meno famosi e popolari segnano cifre a doppio zero e stesso risultato lo aspettiamo a breve anche per i rosati che stanno prepotentemente tornando ad essere presenti nel corredo delle principali casate vinicole dopo un oblio di decenni grazie al loro mix di profumi, sapori e leggerezza che li rendono perfetti per ogni stagione e circostanza.

Le giovani generazioni, i cosiddetti “Millennians” nel modaiolo mondo del vino vedono la Toscana come punto di riferimento e questo fa prevedere un futuro radioso.
Beati loro. Chi invece, come chi scrive, ha qualche capello bianco, ha visto il vino passare dai bassifondi ai caveaux e dopo migliaia di degustazioni sul palato non confonde ormai gli zirconi con i diamanti.

Degustando le varie denominazioni in anteprima, non ci siamo lasciati troppo affascinare dai pomposi proclami festaioli e i budget da capogiro che accompagnano i 300 anni del Chianti Classico e al bicchiere ci siamo annoiati come ormai tradizione da molti anni.
Verrebbe da dire che serve più personalità e coraggio, ma ci siamo annoiati anche di ripetere questo.
Siamo invece rimasti favorevolmente sorpresi dagli altri vini, quelli meno osannati e con budget promozionali senza troppi zero che, ligi alla tradizione, propongono ancora sapori autentici e caratteriali infischiandosene della ruffianeria di circostanza.
Su tutti segnalo il Vin Ruspo di Carmignano straordinario esempio di rosato emergente e il
vino minerale vulcanico del Montecucco dell’Amiata.

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Le Donne del Vino fra cultura e solidarietà

[:it]12647211_10207935123317155_8443993986012113651_n-e1454579845539di Nadia Fondelli – Sono ormai passati anni da quando ho incontrato per la prima volta Antonella d’Isanto.
Spinta dalla mia anima ecologista decisi di scoprire da vicino un’azienda coraggiosa che in tempi non sospetti aveva deciso di essere eco friendly.

Antonella si definì fin da quel nostro primo incontro una “produttrice per passione” e in realtà solo la passione e un po’ di sana follia pensai, la poteva spingere a scegliere imballaggi senza polistirolo e plastica, impianto fotovoltaico, bottiglie più leggere per sprecare meno vetro e addirittura riciclare i tappi in originalissimi orecchini che porto tutt’oggi molto volentieri.

Oltre alla passione furono alte le doti che intuì in lei. Donna solare, comunicativa e carismatica capì che mi trovavo al cospetto di chi non si ferma al nozionismo ma approfondisce tutto con l’intelligenza e la curiosità del viaggiatore della vita.
Antonella vive la sua azienda totalmente. In cantina, in vigna e in ufficio e riesce, con la stessa maestria, a viverla appieno anche girando il mondo.

E’ infatti lei che personalmente sdogana le sue sei etichette – fra ci il magistrale Gold Label – ad ogni latitudine e longitudine (dall’America al Giappone) facendo anche incetta di premi, medaglie e riconoscimenti.

Ma I Balzini, questo il nome dell’azienda che la vede capitana di uno staff non a caso tutto al femminile, è molto di più. E’ anche un punto di riferimento del buon vivere e della buona cultura.

Ai Balzini c’è arte. Le mostre sono una buona consuetudine e qui è stata battezzata la enoarte di Elisabetta Rogai.
Ai Balzini c’è letteratura. Molte le presentazioni di libri che si svolgono e addirittura uno dei volumi più di successo del noto giallista Marco Vichi è ambientato fra queste vigne.
E ai Balzini c’è buona imprenditoria.

Quasi naturale anche se non scontato che Antonella d’Isanto sia, dallo scorso anno, Presidente regionale dell’Associazione donne del vino che nata fra lo scetticismo di un mondo molto maschilista come quello di Bacco vanti oggi 650 iscritte che rappresentano le donne e il vino non solo in vigna e cantina, a anche in tutta la filiera compresa la tavola e la comunicazione.

L’occasione dei festeggiamenti per l’elezione a presidente nazionale delle Donne del Vino di Donatella Cinelli Colombini è stato anche il pretesto per presentare la linea programmatica della presidenza d’Isanto per la Toscana di cui formazione e solidarietà sono le parole d’ordine.

“Oltre ad eventi sul territorio per far conoscere i nostri vini e le nostre cantine organizzeremo eventi e iniziative per aiutare lo sviluppo dell’imprenditoria del vino in rosa. Ma non solo. Grazie a uno studio legale specializzato in diritto vitivinicolo sarà organizzato un convegno su come approcciarsi al mercato estero e inoltre sul versante della solidarietà stiamo definendo i dettagli per un’asta benefica di bottiglie speciali da dedicare a un’associazione venefica.”
E siamo certi che Antonella, così come ha fatto per i suoi I Balzini farà volare in alto anche le altre Donne del Vino per rompere finalmente schemi preconcetti di un mondo ancora un po’ troppo declinato al maschile.

 [:en]12647211_10207935123317155_8443993986012113651_n-e1454579845539di Nadia Fondelli – Sono ormai passati anni da quando ho incontrato per la prima volta Antonella d’Isanto.
Spinta dalla mia anima ecologista decisi di scoprire da vicino un’azienda coraggiosa che in tempi non sospetti aveva deciso di essere eco friendly.

Antonella si definì fin da quel nostro primo incontro una “produttrice per passione” e in realtà solo la passione e un po’ di sana follia pensai, la poteva spingere a scegliere imballaggi senza polistirolo e plastica, impianto fotovoltaico, bottiglie più leggere per sprecare meno vetro e addirittura riciclare i tappi in originalissimi orecchini che porto tutt’oggi molto volentieri.

Oltre alla passione furono alte le doti che intuì in lei. Donna solare, comunicativa e carismatica capì che mi trovavo al cospetto di chi non si ferma al nozionismo ma approfondisce tutto con l’intelligenza e la curiosità del viaggiatore della vita.
Antonella vive la sua azienda totalmente. In cantina, in vigna e in ufficio e riesce, con la stessa maestria, a viverla appieno anche girando il mondo.

E’ infatti lei che personalmente sdogana le sue sei etichette – fra ci il magistrale Gold Label – ad ogni latitudine e longitudine (dall’America al Giappone) facendo anche incetta di premi, medaglie e riconoscimenti.

Ma I Balzini, questo il nome dell’azienda che la vede capitana di uno staff non a caso tutto al femminile, è molto di più. E’ anche un punto di riferimento del buon vivere e della buona cultura.

Ai Balzini c’è arte. Le mostre sono una buona consuetudine e qui è stata battezzata la enoarte di Elisabetta Rogai.
Ai Balzini c’è letteratura. Molte le presentazioni di libri che si svolgono e addirittura uno dei volumi più di successo del noto giallista Marco Vichi è ambientato fra queste vigne.
E ai Balzini c’è buona imprenditoria.

Quasi naturale anche se non scontato che Antonella d’Isanto sia, dallo scorso anno, Presidente regionale dell’Associazione donne del vino che nata fra lo scetticismo di un mondo molto maschilista come quello di Bacco vanti oggi 650 iscritte che rappresentano le donne e il vino non solo in vigna e cantina, ma anche in tutta la filiera compresa la tavola e la comunicazione.

L’occasione dei festeggiamenti per l’elezione a presidente nazionale delle Donne del Vino di Donatella Cinelli Colombini è stato anche il pretesto per presentare la linea programmatica della presidenza d’Isanto per la Toscana di cui formazione e solidarietà sono le parole d’ordine.

“Oltre ad eventi sul territorio per far conoscere i nostri vini e le nostre cantine organizzeremo eventi e iniziative per aiutare lo sviluppo dell’imprenditoria del vino in rosa. Ma non solo. Grazie a uno studio legale specializzato in diritto vitivinicolo sarà organizzato un convegno su come approcciarsi al mercato estero e inoltre sul versante della solidarietà stiamo definendo i dettagli per un’asta benefica di bottiglie speciali da dedicare a un’associazione venefica.”
E siamo certi che Antonella, così come ha fatto per i suoi I Balzini farà volare in alto anche le altre Donne del Vino per rompere finalmente schemi preconcetti di un mondo ancora un po’ troppo declinato al maschile.

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I cantuccini diventano Igt!

[:it]Cantuccidi redazione – E con questo fanno 29! Tanti diventano così in Toscana i prodotti agroalimentari riconosciuti dall’Europa di qualità al punto di ricevere l’IGP (indicazione di origine protetta).

Nuovo riconoscimento per la produzione agroalimentare toscana con il meritato riconoscimento dell’IGP (indicazione di origine protetta) per i “Cantuccini Toscani” o “Cantucci Toscani”.  Per la Toscana è la 29esima registrazione come Indicazione Geografica Protetta.

“La concessione dell’IGP – commenta l’assessore all’agricoltura Marco Remaschi – è il giusto riconoscimento per la qualità e tipicità tocana di un prodotto da forno che viene proposto come fine pasto in tutta la Toscana nel classico abbinamento con vin santo, un prodotto che appartiene indiscutibilmente alla tradizione regionale tanto da aver consolidato la doppia dizione Cantuccini Toscani e Cantucci Toscani, nomi che vengono entrambi protetti.
Il riconoscimento dell’IGP – aggiunge l’assessore – andrà a vantaggio della qualità del prodotto toscano e delle aziende che lo producono, che vanno dalle piccole imprese, come i forni di quartiere, alle medie e grandi imprese dolciarie, a cui spetta il merito di aver portato i cantuccini sui mercati europei ed extra europei riscuotendo un meritato successo.”

Grazie al marchio IGP ai Cantucci Toscani è riconosciuta la tipicità nella ricetta che vede come ingrediente caratterizzante le mandorle dolci intere in misura non inferiore al 20%.
Nella ricetta anche il burro, il miele e le uova, secondo un preciso disciplinare di produzione. La richiesta di IGP era stata avanzata nel 2011 da Assocantuccini, l’associazione presieduta da Ubaldo Corsini, costituita tra imprese ed associazioni di categoria, che ha inteso salvaguardare il prodotto toscano, il terzo biscotto più conosciuto al mondo, con un fatturato complessivo stimato in 35 milioni di euro ed un export del 37%.
“La IGP suggella questo percorso – conclude l’assessore – ma soprattutto avvia una nuova fase di opportunità di sviluppo economico che ci auguriamo sia colta dalle imprese toscane.”

“La Toscana oggi aggiunge un’altra stella sul suo petto fra i suoi prodotti agroalimentari di qualità”: questo il commento del presidente della Regione, Enrico Rossi, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale UE del riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (IGP) per i “Cantuccini Toscani”.
Il presidente ha espresso la sua soddisfazione per il riconoscimento che porta a 29 le denominazioni protette della Toscana. “Questo aiuterà – ha sottolineato Rossi – fornai, pasticceri, ristoratori, piccole e medie imprese dolciarie a meritarsi l’attenzione delle tavole di tutto il mondo e contrastare la contraffazione alimentare. Soprattutto nei mercati emergenti dove la qualità Toscana spicca sempre.”

Il presidente ha voluto ricordare anche il lavoro fatto dagli uffici della Regione a supporto della domanda, che era stata avanzata fin dall’11 aprile 2011 da Assocantuccini, l’associazione di imprese operanti nel settore che riunisce oggi 16 produttori, fra aziende artigiane e industriali, che operano in tutta la regione ed è presieduta da Ubaldo Corsini. “Un sincero grazie – ha concluso Rossi – a tutti gli uffici regionali in Toscana e a Bruxelles, ma sopratutto ad Assocantuccini presieduta da Ubaldo Corsini.” La tutela dell’IGP è accordata sia ai “Cantucci Toscani” sia ai “Cantuccini Toscani” che rispettino il rigido disciplinare approvato, che prevede quante mandorle devono essere contenute nella ricetta (almeno il 20 per cento), gli ingredienti (zucchero, uova, burro, miele), la cottura al forno e perfino la lunghezza e il peso dei cantuccini. Tutte regole c he le imprese aderenti ad Assocantuccini si sono impegnate ad osservare in nome della qualità e della toscanità.[:en]Cantuccidi redazione – E con questo fanno 29! Tanti diventano così in Toscana i prodotti agroalimentari riconosciuti dall’Europa di qualità al punto di ricevere l’IGP (indicazione di origine protetta).

Nuovo riconoscimento per la produzione agroalimentare toscana con il meritato riconoscimento dell’IGP (indicazione di origine protetta) per i “Cantuccini Toscani” o “Cantucci Toscani”.  Per la Toscana è la 29esima registrazione come Indicazione Geografica Protetta.

“La concessione dell’IGP – commenta l’assessore all’agricoltura Marco Remaschi – è il giusto riconoscimento per la qualità e tipicità tocana di un prodotto da forno che viene proposto come fine pasto in tutta la Toscana nel classico abbinamento con vin santo, un prodotto che appartiene indiscutibilmente alla tradizione regionale tanto da aver consolidato la doppia dizione Cantuccini Toscani e Cantucci Toscani, nomi che vengono entrambi protetti.
Il riconoscimento dell’IGP – aggiunge l’assessore – andrà a vantaggio della qualità del prodotto toscano e delle aziende che lo producono, che vanno dalle piccole imprese, come i forni di quartiere, alle medie e grandi imprese dolciarie, a cui spetta il merito di aver portato i cantuccini sui mercati europei ed extra europei riscuotendo un meritato successo.”

Grazie al marchio IGP ai Cantucci Toscani è riconosciuta la tipicità nella ricetta che vede come ingrediente caratterizzante le mandorle dolci intere in misura non inferiore al 20%.
Nella ricetta anche il burro, il miele e le uova, secondo un preciso disciplinare di produzione. La richiesta di IGP era stata avanzata nel 2011 da Assocantuccini, l’associazione presieduta da Ubaldo Corsini, costituita tra imprese ed associazioni di categoria, che ha inteso salvaguardare il prodotto toscano, il terzo biscotto più conosciuto al mondo, con un fatturato complessivo stimato in 35 milioni di euro ed un export del 37%.
“La IGP suggella questo percorso – conclude l’assessore – ma soprattutto avvia una nuova fase di opportunità di sviluppo economico che ci auguriamo sia colta dalle imprese toscane.”

“La Toscana oggi aggiunge un’altra stella sul suo petto fra i suoi prodotti agroalimentari di qualità”: questo il commento del presidente della Regione, Enrico Rossi, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale UE del riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (IGP) per i “Cantuccini Toscani”.
Il presidente ha espresso la sua soddisfazione per il riconoscimento che porta a 29 le denominazioni protette della Toscana. “Questo aiuterà – ha sottolineato Rossi – fornai, pasticceri, ristoratori, piccole e medie imprese dolciarie a meritarsi l’attenzione delle tavole di tutto il mondo e contrastare la contraffazione alimentare. Soprattutto nei mercati emergenti dove la qualità Toscana spicca sempre.”

Il presidente ha voluto ricordare anche il lavoro fatto dagli uffici della Regione a supporto della domanda, che era stata avanzata fin dall’11 aprile 2011 da Assocantuccini, l’associazione di imprese operanti nel settore che riunisce oggi 16 produttori, fra aziende artigiane e industriali, che operano in tutta la regione ed è presieduta da Ubaldo Corsini. “Un sincero grazie – ha concluso Rossi – a tutti gli uffici regionali in Toscana e a Bruxelles, ma sopratutto ad Assocantuccini presieduta da Ubaldo Corsini.” La tutela dell’IGP è accordata sia ai “Cantucci Toscani” sia ai “Cantuccini Toscani” che rispettino il rigido disciplinare approvato, che prevede quante mandorle devono essere contenute nella ricetta (almeno il 20 per cento), gli ingredienti (zucchero, uova, burro, miele), la cottura al forno e perfino la lunghezza e il peso dei cantuccini. Tutte regole c he le imprese aderenti ad Assocantuccini si sono impegnate ad osservare in nome della qualità e della toscanità.[:]

Carne fresca e buona? Made in Chianti!

[:it]20151125_113123 20151125_120742di Nadia Fondelli – E’ passato un po’ di tempo dalla scoperta dell’acqua calda dell’organizzazione mondiale della sanità sulla carne rossa che, se mangiata in abbondanza non fa bene e demonizza insaccati e bovini additandoli come le pallottole del tumore al colon.
A tal proposito hanno pontificato esperti e soloni di ogni disciplina e oggi, a bocce più ferme, scendono in campo gli amministratori e gli artigiani del gusto del Chianti in difesa della carne fresca del territorio.

I chiantigiani che sono notoriamente amanti della bistecca non sarà un caso risultano una delle popolazioni più longeve, nonostante la carne rossa.
E allora di dubbi ne vengono e molti.

In Chianti c’è da sempre una cultura dell’alimentazione e la filiera corta non è una parola di moda ma uno stile di vita.
Contrariamente a quanto la società dei consumi ha imposto per anni la qualità deve sempre dominare sulla quantità e i medici devono dirlo bene e devono dire, altrettanto con chiarezza, che la carne rossa non fa male se mangiata in modiche quantità e da filiera  corta.

Amministratori, medici e “beccai” del Chianti si sono coalizzati e sono scesi in città – nello specifico nei modaioli spazi del mercato centrale – per gridare forte che la loro carne se mangiata con moderazione e insieme a uno sano stile di vita non fa male.

“Conosciamo personalmente i nostri animali, andiamo a vedere dove crescono, come sono allevati, come vengono macellati e siamo noi ad alzarci alle sei di mattina per andare in bottega a preparare i salumi.”  Morando Morandi, macellaio da 57 anni in quel di Tavarnelle val di Pesa e figlio e nipote di macellai è un fiume in piena: “I consumatori devono sapere la differenza che c’è fra una bestia allevata in natura e una in batteria. Si sono mai chiesti come fanno ad essere belli e perfetti certi salami? Come mai la carne viene confezionata in quelle vaschette bianche e con quelle cartine? Come fa certa carne, anche dopo giorni ad essere sempre bella rossa?”

Beh che ci sia differenza fra un hamburger da un euro tutto compreso e quello del macellaio sotto casa era immaginabile ma poco noto al consumatore che la vaschetta e la carta servono per assorbire acqua e liquidi che una carne sana non deve avere, che certi salumi industriale contengono sì e no 10% di suino e tanta chimica e che la carne oltre i tre giorni è inevitabile che diventi nera.

Serve riscoprire la bontà, recuperare l’onore ed esaltare i pregi della carne di qualità. “Questa task force chiantigiana – dichiarano i sindaci Massimiliano Pescini, David Baroncelli, Paolo Sottani, Giacomo Trentanovi – nasce non solo per esprimere un giudizio diverso da quello dell’Oms nel nome della qualità del prodotto, ma vuole salvaguardare le diversità e opporre una sorta di resistenza-gastronomica ai mercati globalizzati.”

Il Chianti risponde così con forza alla scoperta dell’acqua calda con un bel bicchiere di Sangiovese e una bella bistecca!

 [:en]di Nadia Fondelli – E’ passato un po’ di tempo dalla scoperta dell’acqua calda dell’organizzazione mondiale della sanità sulla carne rossa che, se mangiata in abbondanza non fa bene e demonizza insaccati e bovini additandoli come le pallottole del tumore al colon.
A tal proposito hanno pontificato esperti e soloni di ogni disciplina e oggi, a bocce più ferme, scendono in campo gli amministratori e gli artigiani del gusto del Chianti in difesa della carne fresca del territorio.

I chiantigiani che sono notoriamente amanti della bistecca non sarà un caso risultano una delle popolazioni più longeve, nonostante la carne rossa.
E allora di dubbi ne vengono e molti.

In Chianti c’è da sempre una cultura dell’alimentazione e la filiera corta non è una parola di moda ma uno stile di vita.
Contrariamente a quanto la società dei consumi ha imposto per anni la qualità deve sempre dominare sulla quantità e i medici devono dirlo bene e devono dire, altrettanto con chiarezza, che la carne rossa non fa male se mangiata in modiche quantità e da filiera  corta.

Amministratori, medici e “beccai” del Chianti si sono coalizzati e sono scesi in città – nello specifico nei modaioli spazi del mercato centrale – per gridare forte che la loro carne se mangiata con moderazione e insieme a uno sano stile di vita non fa male.

“Conosciamo personalmente i nostri animali, andiamo a vedere dove crescono, come sono allevati, come vengono macellati e siamo noi ad alzarci alle sei di mattina per andare in bottega a preparare i salumi.”  Morando Morandi, macellaio da 57 anni in quel di Tavarnelle val di Pesa e figlio e nipote di macellai è un fiume in piena: “I consumatori devono sapere la differenza che c’è fra una bestia allevata in natura e una in batteria. Si sono mai chiesti come fanno ad essere belli e perfetti certi salami? Come mai la carne viene confezionata in quelle vaschette bianche e con quelle cartine? Come fa certa carne, anche dopo giorni ad essere sempre bella rossa?”

Beh che ci sia differenza fra un hamburger da un euro tutto compreso e quello del macellaio sotto casa era immaginabile ma poco noto al consumatore che la vaschetta e la carta servono per assorbire acqua e liquidi che una carne sana non deve avere, che certi salumi industriale contengono sì e no 10% di suino e tanta chimica e che la carne oltre i tre giorni è inevitabile che diventi nera.

Serve riscoprire la bontà, recuperare l’onore ed esaltare i pregi della carne di qualità. “Questa task force chiantigiana – dichiarano i sindaci Massimiliano Pescini, David Baroncelli, Paolo Sottani, Giacomo Trentanovi – nasce non solo per esprimere un giudizio diverso da quello dell’Oms nel nome della qualità del prodotto, ma vuole salvaguardare le diversità e opporre una sorta di resistenza-gastronomica ai mercati globalizzati.”

Il Chianti risponde così con forza alla scoperta dell’acqua calda con un bel bicchiere di Sangiovese e una bella bistecca!

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I Balzini: è tutto oro quello che luccica!

[:it]ANTONELLA-dinsanto-500x799di Nadia Fondelli – Entra prepotentemente fra le pagine della guida “Vigne e Vignaioli d’Italia” il Gold Label de I Balzini. Il sogno di Antonella d’Isanto divenuto splendida realtà.

E’ passata almeno una decina di anni da quando, per la prima volta mi sono trovata davanti ai cancelli dell’azienda vinicola I Balzini.
Ero geograficamente nel cuore del Chianti Classico con affaccio su una splendida angolazione di paesaggio che apre davanti agli occhi, dall’alba al tramonto, un infinito emozionarsi di luci e colori che si rincorrono fra vigne e uliveti fino lassù,  oltre la vallata, dove senza foschia e un po’ di fortuna si può scorgere anche le torri di San Gimignano.

I Balzini mi avevano attratto per la loro attenzione alle pratiche gentili per il pianeta. Ero lì perchè avevo letto che imbottigliavano in bordolesi più leggere di vetro e scorie. Il loro vino però, in contrasto all’ortodossia chiantigiana snob, m’incuriosiva perché trovarsi nel Chianti Classico al cospetto di un azienda che ignora il Sangiovese era quantomeno da indagare.

E così ho conosciuto e mi sono fatta affascinare dai vini de I Balzini ancor prima – a proposito di indagare – dell’investigatore fiorentino Bordelli che il giallista fiorentino Marco Vichi fa approdare proprio in questi 13 ettari nel suo “Fantasmi dal passato”.
Forse anche il celebre scrittore cercava uno spunto fatto sta che, dopo aver varcato quel cancello e conosciuto Antonella D’Isanto tutto cambia.

Inevitabile farsi travolgere dal suo amore per ciò che fa. Inevitabile sedersi ad ascoltarla davanti a un buon bicchiere e scoprire che l’azienda, che festeggia i suoi 35 anni, fu fondata dal marito Vincenzo, commercialista nel 1980.
Lui con le prime diecimila lire guadagnate comprò una bottiglia di vino per festeggiare e fu così che s’innamorò del nettare di Bacco fino a decidere, dopo aver accumulato un po’ di diecimila lire, di acquistare un’azienda. Un azzardo ai tempi in cui il Chianti e la campagna erano solo un desolato ricordo e un inimmaginabile futuro.

Si affidò al più grande conoscitore di Sangiovese, Giulio Gambelli che senza giri di parole disse che fra quel tufo era impensabile far crescere il vitigno di Toscana per eccellenza. Serviva altro, serviva il coraggio e l’azzardo di piantare vitigni internazionali capaci di andare a fondo nel terreno fino ad abbracciare quei fossili di conchiglie e sali minerali di cui quella terra è ricca.

E così hanno fatto Antonella e Vincenzo e nel 1991 è nato il loro primo vino. Oggi le etichette sono sei e tutti vini rossi: White Label, Black Label, Red Label, Green Label, Pink Label e Gold Label.
L’ultimo nato, il figlio cercato e voluto da Antonella, che nel frattempo ha abbandonato un lavoro tranquillo in ufficio per dedicarsi alla cantina, è proprio il Gold Label nato per festeggiare i 35 anni e in poco tempo divenuto un caso di successo dell’enologia italiana.

Gli occhi di Antonella quando ne parlano brillano di una luce speciale e anche se non hai ancora avuto il piacere di berlo non puoi che crederle.
Il suo dorato Merlot in purezza conta di sole 360 bottiglie e 250 magnum e ha fatto innamorare addirittura lo scettico sommelier campione del mondo Luca Gandini che lo ha seguito in ogni sua fase e lo ha voluto nel suo “Vini e Vignaioli d’Italia 2016”.

Il sogno visionario di Antonella D’Isanto si è realizzato col coraggio di decidere la bassissima resa di un chilogrammo per pianta per ottenere, riuscendoci,  il meglio. Il sogno visionario di una donna che non a caso lavora fianco a fianco con altre due donne: la figlia Diana e l’enologa Barbara Tamburini.

Il Merlot d’oro de I Balzini entra così, ed è in eccellente compagnia, in questa guida senza voti che racconta attraverso il vino la storia, spesso particolarissima di duecento uomini e donne innamorati del vino.
Storie di giovani contadini 2.0 che tornano alla terra e figli e nipoti di storici e nobili casati. Mondi diversi che s’intrecciano e incrociano fra pagine che scorrono via bene e che magari fanno storcere la bocca ai puristi.

Uno studioso che ha resuscitato un vecchio palmento sull’Etna, i fratelli campioni del Sauvignon friulano, la signora dell’Amarone che vive come un’artigiana del Rinascimento, il grande produttore che abbatte le case per esaltare il paesaggio, l’eretico della Franciacorta protagonista di un racconto giallo, l’enologo che pianta le viti sulle mura di un castello, l’ex studente che cura le piante di alcune isole della laguna veneziana, l’ex manager che ha lanciato la più piccola doc d’Italia.

E’ davvero in buona compagnia Antonella, una delle cinque new entry della Toscana che vorremo solo sia nota ed apprezzata per l’unicità dei suoi prodotti, per la passione che mette nel suo lavoro, per le tante idee che sprigiona dalla sua genialità, per la godibilità della sua compagnia in azienda con affaccio vigne.

Definirla solo come la creatrice del Merlot più caro del mondo è riduttivo e non gli rende giustizia. Il suo Gold Label è tanto e molto di più di quanto si possa pensare.

Vignaioli e vini d’Italia” di Luciano Ferraro e Luca Gardini è in edicola dal 26 ottobre a 12,90 euro nei principali store in versione ebook a 7,99 euro.

 [:en]ANTONELLA-dinsanto-500x799di Nadia Fondelli – Entra prepotentemente fra le pagine della guida “Vigne e Vignaioli d’Italia” il Gold Label de I Balzini. Il sogno di Antonella d’Isanto divenuto splendida realtà.

E’ passata almeno una decina di anni da quando, per la prima volta mi sono trovata davanti ai cancelli dell’azienda vinicola I Balzini.
Ero geograficamente nel cuore del Chianti Classico con affaccio su una splendida angolazione di paesaggio che apre davanti agli occhi, dall’alba al tramonto, un infinito emozionarsi di luci e colori che si rincorrono fra vigne e uliveti fino lassù,  oltre la vallata, dove senza foschia e un po’ di fortuna si può scorgere anche le torri di San Gimignano.

I Balzini mi avevano attratto per la loro attenzione alle pratiche gentili per il pianeta. Ero lì perchè avevo letto che imbottigliavano in bordolesi più leggere di vetro e scorie. Il loro vino però, in contrasto all’ortodossia chiantigiana snob, m’incuriosiva perché trovarsi nel Chianti Classico al cospetto di un azienda che ignora il Sangiovese era quantomeno da indagare.

E così ho conosciuto e mi sono fatta affascinare dai vini de I Balzini ancor prima – a proposito di indagare – dell’investigatore fiorentino Bordelli che il giallista fiorentino Marco Vichi fa approdare proprio in questi 13 ettari nel suo “Fantasmi dal passato”.
Forse anche il celebre scrittore cercava uno spunto fatto sta che, dopo aver varcato quel cancello e conosciuto Antonella D’Isanto tutto cambia.

Inevitabile farsi travolgere dal suo amore per ciò che fa. Inevitabile sedersi ad ascoltarla davanti a un buon bicchiere e scoprire che l’azienda, che festeggia i suoi 35 anni, fu fondata dal marito Vincenzo, commercialista nel 1980.
Lui con le prime diecimila lire guadagnate comprò una bottiglia di vino per festeggiare e fu così che s’innamorò del nettare di Bacco fino a decidere, dopo aver accumulato un po’ di diecimila lire, di acquistare un’azienda. Un azzardo ai tempi in cui il Chianti e la campagna erano solo un desolato ricordo e un inimmaginabile futuro.

Si affidò al più grande conoscitore di Sangiovese, Giulio Gambelli che senza giri di parole disse che fra quel tufo era impensabile far crescere il vitigno di Toscana per eccellenza. Serviva altro, serviva il coraggio e l’azzardo di piantare vitigni internazionali capaci di andare a fondo nel terreno fino ad abbracciare quei fossili di conchiglie e sali minerali di cui quella terra è ricca.

E così hanno fatto Antonella e Vincenzo e nel 1991 è nato il loro primo vino. Oggi le etichette sono sei e tutti vini rossi: White Label, Black Label, Red Label, Green Label, Pink Label e Gold Label.
L’ultimo nato, il figlio cercato e voluto da Antonella, che nel frattempo ha abbandonato un lavoro tranquillo in ufficio per dedicarsi alla cantina, è proprio il Gold Label nato per festeggiare i 35 anni e in poco tempo divenuto un caso di successo dell’enologia italiana.

Gli occhi di Antonella quando ne parlano brillano di una luce speciale e anche se non hai ancora avuto il piacere di berlo non puoi che crederle.
Il suo dorato Merlot in purezza conta di sole 360 bottiglie e 250 magnum e ha fatto innamorare addirittura lo scettico sommelier campione del mondo Luca Gandini che lo ha seguito in ogni sua fase e lo ha voluto nel suo “Vini e Vignaioli d’Italia 2016”.

Il sogno visionario di Antonella D’Isanto si è realizzato col coraggio di decidere la bassissima resa di un chilogrammo per pianta per ottenere, riuscendoci,  il meglio. Il sogno visionario di una donna che non a caso lavora fianco a fianco con altre due donne: la figlia Diana e l’enologa Barbara Tamburini.

Il Merlot d’oro de I Balzini entra così, ed è in eccellente compagnia, in questa guida senza voti che racconta attraverso il vino la storia, spesso particolarissima di duecento uomini e donne innamorati del vino.
Storie di giovani contadini 2.0 che tornano alla terra e figli e nipoti di storici e nobili casati. Mondi diversi che s’intrecciano e incrociano fra pagine che scorrono via bene e che magari fanno storcere la bocca ai puristi.

Uno studioso che ha resuscitato un vecchio palmento sull’Etna, i fratelli campioni del Sauvignon friulano, la signora dell’Amarone che vive come un’artigiana del Rinascimento, il grande produttore che abbatte le case per esaltare il paesaggio, l’eretico della Franciacorta protagonista di un racconto giallo, l’enologo che pianta le viti sulle mura di un castello, l’ex studente che cura le piante di alcune isole della laguna veneziana, l’ex manager che ha lanciato la più piccola doc d’Italia.

E’ davvero in buona compagnia Antonella, una delle cinque new entry della Toscana che vorremo solo sia nota ed apprezzata per l’unicità dei suoi prodotti, per la passione che mette nel suo lavoro, per le tante idee che sprigiona dalla sua genialità, per la godibilità della sua compagnia in azienda con affaccio vigne.

Definirla solo come la creatrice del Merlot più caro del mondo è riduttivo e non gli rende giustizia. Il suo Gold Label è tanto e molto di più di quanto si possa pensare.

Vignaioli e vini d’Italia” di Luciano Ferraro e Luca Gardini è in edicola dal 26 ottobre a 12,90 euro nei principali store in versione ebook a 7,99 euro.

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