15 Aprile 2015

[:it]Firenze liberty[:]

[:it]20140905_111941 20140906_190327 20140915_183529 20150220_120538di Nadia Fondelli –  Un nuovo stile architettonico “floreale” stava ottenendo grande successo in Europa nel momento in cui il cancan faceva scandalizzare le signore e ingolosire gli uomini su cui incombeva la spada di Damocle dell’imminente prima guerra mondiale. Uno stile che faticava ad emergere in Italia e a Firenze soprattutto, città da sempre orgogliosa di sé e scettica verso il nuovo e forestiero.

Nella città che fu di Dante la prima costruzione del nuovo stile che, faticosamente si fece spazio nel centro storico è la casa Paggi situata fra via Brunelleschi e via de’Pecori. Il Liberty, con questo nome fu noto questo stile innovativo, irruppe così con il suo nuovo linguaggio in pieno centro città, nei tempi della sua riqualificazione, là dove fu il ghetto da poco demolito per fare spazio alla Firenze capitale di qualche decennio prima.


Opera dell’architetto Giovanni Paciarelli, la costruzione, risalente al 1903, era sede dei “Grandi Magazzini all’Industria Inglese, Pola e Todescan”. Il nuovo stile era deciso ed esplicito grazie alla forza che seppe dare a questo linguaggio il giovane e promettente assistente dell’architetto che rispondeva al nome di Giovanni Michelazzi, un pischello appena uscito dall’Accademia. 

Le decorazioni della facciata adornate dalle ceramiche fatte dalla manifattura Cantagalli di Firenze, i ferri battuti delle officine Michelacci di Pistoia e le protomi dal volto di donna, caratterizzano l’edificio. 
Per molti era un’orrore e anche i critici non furono teneri – Camillo Boito definì l’edificio “un pugno in un occhio”, ma nel giornale “L’Arte decorativa Moderna” la casa Paggi venne invece definita “una sfida alle abitudini locali”.

Firenze doveva svegliarsi e girare pagina?
Sì, del resto ai tavoli del vicino caffè delle Giubbe Rosse non a caso iniziavano a sedersi per oziare Marinetti, Montale e compagnia bella…

Il liberty-floreale è il nuovo e quindi trova immediata simpatia e diffusione fra artisti e artigiani capaci di produzioni di altissimo livello nel campo della grafica e delle arti applicate, anche se, per quel che riguarda l’architettura, le bocche ancora si storcono al punto che, Giovanni Michelazzi ormai diventato architetto in proprio, sarà l’unico a proseguire su questa strada, facendo spesso i conti con aspre critiche e incomprensioni. 

Il liberty però, anche per mancanza di spazi, lasciò presto il centro storico è trovo il suo centro in quelle nuove zone di espansione della città, dove si stava stabilendo la nuova classe sociale e si stava affermando la tipologia del villino.
I villini sorgono quindi nei quartieri ottocenteschi e primo novecenteschi di espansione della città di Firenze. 
I Lampredi di via Giano della Bella nascono con gli albori del novecento, ma è soprattutto la zona che si sviluppa alle spalle di Piazza Beccaria, dove una volta era Porta alla Croce, quella che maggiormente si caratterizza come la Firenze liberty e, non a caso, i più importanti artisti come Galileo Chini qui avevano le loro case studio.

Da via del Ghirlandaio dov’era sede della bottega Chini a viale Mazzini il passo è breve e qui venne edificato il villino Ventilari nel 1907 distrutto fra il 1959 e il 1961, poi il villino “La Prora” nella vicina via Guerrazzi, anch’esso distrutto dopo il 1955.
Del 1907 è il villino Ravazzini di via Scipione Ammirato, strada dove nel 1910-11 sorge il capolavoro liberty fiorentino: il suggestivo villino Broggi.

Per l’eccentrico architetto Michelazzi, il Broggi sarà la prima possibilità di progettazione completa e da così sfogo alla sua creatività.
La morfologia della facciata è lo specchio della conformazione interna e la decorazione è perfettamente integrata con l’architettura. L’impianto trapezoidale si sviluppa intorno alla monumentale scala elicoidale, coperta a cupola e illuminata da una lanterna colorata, montata su una struttura in ferro a forma di un grande ragno; la ringhiera ha la forma di drago e le figure femminili danzanti di Galileo Chini completano la decorazione della cupola e delle pareti della stanza ottagonale. All’esterno, festoni in ceramica verde si inseriscono fra la muratura grigia dell’intonaco e le specchiature in laterizio che riempiono i fantasiosi spazi creati dalle cornici. Sulla soggetta, impreziosita dai tralci in ferro battuto e dalla ringhiera, il festone di ceramica reca la scritta “Erectum MCMXI architetto Michelazzi”. 

Il pensiero architettonico di Michelazzi si riscontra anche nella palazzina-studio di via Borgognissanti, progettata nel 1911 e costruita al posto di un immobile di fine ottocento destinato a scuderia e demolito nel 1910. 
L’edificio, stretto fra due costruzioni precedenti, è denso di elementi liberty che sfruttano l’accentuato verticalismo per sottolineare la doppia funzione del palazzo.

La nuova strana architettura nel centro storico della città sollevò così tante critiche come dicevamo, al punto che, il quotidiano La Nazione del 22 gennaio 1912 la definisce “sacrilega” in una città dove il “gusto e l’arte era campione”. 
La stagione liberty è brevissima, la prima guerra mondiale toglie il sorriso a molti e Michelazzi rimane ben presto solitario e fuori dalle norme. 
Rimarrà sempre coerente al suo credo non adeguandosi per inseguire facili successi. Al ritorno dal conflitto mondiale il clima in cui aveva operato in città, polemiche a parte, non era più lo stesso e la sua vita lavorativa non avrà più la stessa vena. Il sentimento di inadeguatezza e le delusioni familiari lo porteranno al suicidio il 24 Agosto 1924.

Ma di lui, di Galileo Chini e degli altri maestri del liberty, fortunatamente rimangono i capolavori, anche se molti sono andati ahimè persi per colpa della folle mano distruttrice del soprintendente Procacci che1962 decretò la distruzione di molti villini.

Per un tour di art-noveau consigliammo di girovagare dietro piazza Beccaria e vedere dopo il Villino Broggi e il Villino Ravazzini di Via Scipione Ammirato e la casa-bottega di Chini di via del Ghirlandaio, le case e le insegne di vecchie botteghe di via Cimabue di via Orcagna e magari immaginare, sempre naso all’insù, nella stessa Piazza Beccaria il celebre cinema, teatro e ristorante Alahmbra che ha fatto la storia della di Firenze.



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