Firenze a tavola: da Fulin, l’altro Oriente

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di Nadia Fondelli – Parlando di cucina cinese è facile cadere nei luoghi comuni. Un paese enorme con un miliardo d abitanti e tradizioni è ovvio che si presti ad essere non compreso bene alle nostre latitudini e non può certo essere semplificato con un involtino primavera e un raviolo al vapore.
In Cina, in verità, si può mangiare benissimo (soprattutto nei grandi Resort internazionali) o malissimo (a dire il vero in tanti posti).
Nella provincia di Liaoning estremo nord fra Siberia e Mongolia per intendersi per esempio per Capodanno si mangia ne più ne meno di cosa mangiamo noi: ravioli fatti in casa e zampone. Chi l’avrebbe mai detto!
In tante zone rurali della Cina invece sedersi a tavola in un ristorante qualsiasi è da coraggiosi da sfida estrema: piatti insapori, gusti indefiniti e igiene zero.

dq2w7971Ma torniamo alle cineserie italiche dove il prototipo che ha dilagato negli anni ’80 e ’90 fra musichetta sincopata da Grande Muraglia e arredi kitch dagli oro e rossi accecanti ha fatto sedere alle proprie tavole migliaia di connazionali attratti dall’esotico (o presunto tale) con prezzi abbordabilissimi e menù fotocopia dove la stagionalità non esiste e i “grandi classici” sono gli involtini primavera, il riso alla cantonese, il pollo alle mandorle e il gelato fritto.
Un format oggi decadente che ha lasciato spazio ai falsi ristoranti giapponesi – falsi perché gestiti dagli stessi cinesi reinventantesi nella ristorazione – della formula “all you can eat!” dove a prezzi stabiliti mangi se vuoi fino a scoppiare.

Ecco Fulin tanto per iniziare  non è ne uno ne l’altro.
dq2w8090E questo per mettere i puntini sulla i, dato che già dalla elegante insegna si legge “chinese luxury experience”.
Sono capitata da Fulin sull’onda del sentito dire in un giorno peraltro un po’ speciale anche se credevo deserto perché in pieno agosto. Qixi è infatti il giorno degli innamorati cinesi, un po’ come il nostro San Valentino.
In sala infatti mi ha subito colpito la presenza di tanti orientali ben vestiti, silenziosi ed educati ben diversi dalle masse caciarone che s’incontrava nei locali di cui sopra.
Bastava anche quello per capire che Fulin era altro, ma aggiungo.

Siamo in via Giampaolo Orsini zona periferica ma abbastanza vicina al centro in un elegante palazzo inizio ‘900 illuminato con eleganza e già la ravioli-marinascelta della sede, fuori da classici circuiti ruffiani, colpisce.

E’ impossibile raccontare questo ristorante senza soffermarsi a parlare di Gianni Ugolini, il proprietario dell’immobile dove Fulin ha trovato casa.
Gianni fotografo è per Firenze (ma non solo) un grosso nome. E’ il creatore della moda-mito degli anni ’80. E’ colui che con la sua macchina fotografica ha cambiato con pochi altri visionari il settore e non solo perché ha fotografato Roberto Cavalli quando ancora aveva i capelli corvini o Naomi Campell adolescente, ma perché il suo obbiettivo ha saputo inventare emozioni forti: sia che si trattasse di cogliere un volto, che di valorizzare un vestito.

branzino-doroGianni che oggi è sempre saldamente sulla breccia e che anzi ha il plusvalore di lavorare tanto e bene anche per associazioni di volontariato ha nel palazzo di famiglia accolto il sogno di due giovani e intraprendenti cinesi ormai italiani di seconda generazione: Francesco Han e Stefano Dai che provengono dalla Prato della ristorazione orientale del nonno. Quella da mille coperti – raccontano sorridendo come se fosse la cosa più normale del mondo – usata per i banchetti popolari dalla comunità cinese toscana dove però, in qualche modo, il lavoro si gestisce bene perché il servizio non esiste.

Ovvio che a Fulin è tutto diverso. Non solo il servizio c’è. Ma deve essere all’occidentale: elegante, puntuale e discreto. Per loro una sfida accettata con entusiasmo.
img_0049Idee chiare: una cucina cinese che guarda più a Pechino e Hong Kong che non a Shangai (quindi di respiro più internazionale) e una brigata di grande spessore “strappata” al meglio di Pechino.

L’ambiente non banale è assolutamente privo di orpelli kitch ma anzi, è elegante nelle sue ampie sale dove dominano i colori tenui e un eccellente mix fra minimalismo di design all’occidentale e pezzi unici orientali di grande antiquariato.
Il salone al primo piano, pur ricalcando lo stesso stile “chiude” con discrezione le tavolate con agili bambù – una concessione alle abitudini orientali ci spiega Stefano – dato che i cinesi amano anche al ristorante essere riservati.
E salendo ancora, dopo aver attraversato una _w6j0355cantina d’autore dove brillano le migliori etichette italiche e qualche eccellenza d’oltralpe ecco lo straordinario terrazzo con affaccio mozzafiato sul piazzale e Forte Belvedere. Perfetto per un tete-a-tete indimenticabile.

Sedendosi a tavola ed aprendo il menù si capisce che le scelte sono ben delineate.
Un assaggio d’Oriente nel cuore di Firenze con piatti speciali fra tradizione e modernità si legge nella prima pagina e scorrendo e assaggiando capiremo perché.
Il menù per meglio orientare l’ospite divide le portate all’occidentale ed è veramente una sorpresa.
Si parte con una scelta di ravioli al vapore dai nomi affascinanti: cristalli di mare, lunette profumate, bocciolo, girandoline…del tutto inediti _w6j9703con farciture preziose di gamberi, capesante, maiale e zucchine, manzo, curry e erba cipollina. Si può anche optare per i sempreverdi involtini declinati però con ripieno di gamberi e castagna, maiale, funghi neri e tofu,…
Fra gli spaghetti (asciutti o in brodo) fatti con pasta all’uovo o di riso colpiscono dal mare quelli con gambero, calamaro e granchio, o quelli di terra da scegliere fra la pasta all’uovo con carote, peperoncini, funghi al profumo di melanzane e gli spaghetti al riso con filetti di manzo, germogli di soia e erba cipollina. Se preferite il brodo imperdibili quelli accompagnati da insalata di uovo e spinaci.

Fra i secondi spiccano i filetti di manzo, maiale e agnello tutti con cotture semplici e salutari che non coprono i sapori. Da non perdere la vera anatra alla dolce-rugiadapechinese; sempre presente in menù nonostante la lunga e complessa preparazione.

Un viaggio nel gusto ittico è il salmone con salsa di arancio e cocco, il branzino con ripieno di funghi xiang gu e asparagi, l’ astice con zuppa di ginseng, il granchietto morbido con salsa piccante e una perfetta tempura.
Vasta e selezionata anche la scelta dei piatti a base di verdura fra cui i fagiolini saltati con foglie di ulivo e mandorle croccanti e i rotolini dell’orto. Fulin è quindi gourmet anche per vegetariani e vegani. E questo nel panorama fiorentino è già un altro bel punto a favore.
Piccola la carta dei dolci ma bando assoluto a gelato e frutta fritta, ovviamente.

Il prezzo? Nella logica della Luxury Experience non si può certo aspettarsi prezzi da “all you can eat” o da ristoranti fotocopia  dato che ogni pietanza oscilla tra i 10 e i 20 euro. Il conto, vino incluso si assesta intorno ai 50/60 euro.

Cosa manca? Forse qualche grande vino cinese che sicuramente a breve i due giovani imprenditori sapranno tirare fuori dal cilindro magico e un menù degustazione che sono certa arriverà a breve.
Per il resto c’è solo da applaudire a questa nuova esperienza “fuori da ogni schema”.
Info:
Fulin – Luxury Chinese Experience
via Giampaolo Orsini 113, Firenze
Telefono 055 684931
www.fulin.it – info@fulin.it

 [:en]img_0115di Nadia Fondelli – Parlando di cucina cinese è facile cadere nei luoghi comuni. Un paese enorme con un miliardo d abitanti e tradizioni è ovvio che si presti ad essere non compreso bene alle nostre latitudini e non può certo essere semplificato con un involtino primavera e un raviolo al vapore.
In Cina, in verità, si può mangiare benissimo (soprattutto nei grandi Resort internazionali) o malissimo (a dire il vero in tanti posti).
Nella provincia di Liaoning estremo nord fra Siberia e Mongolia per intendersi per esempio per Capodanno si mangia ne più ne meno di cosa mangiamo noi: ravioli fatti in casa e zampone. Chi l’avrebbe mai detto!
In tante zone rurali della Cina invece sedersi a tavola in un ristorante qualsiasi è da coraggiosi da sfida estrema: piatti insapori, gusti indefiniti e igiene zero.

dq2w7971Ma torniamo alle cineserie italiche dove il prototipo che ha dilagato negli anni ’80 e ’90 fra musichetta sincopata da Grande Muraglia e arredi kitch dagli oro e rossi accecanti ha fatto sedere alle proprie tavole migliaia di connazionali attratti dall’esotico (o presunto tale) con prezzi abbordabilissimi e menù fotocopia dove la stagionalità non esiste e i “grandi classici” sono gli involtini primavera, il riso alla cantonese, il pollo alle mandorle e il gelato fritto.
Un format oggi decadente che ha lasciato spazio ai falsi ristoranti giapponesi – falsi perché gestiti dagli stessi cinesi reinventantesi nella ristorazione – della formula “all you can eat!” dove a prezzi stabiliti mangi se vuoi fino a scoppiare.

Ecco Fulin tanto per iniziare  non è ne uno ne l’altro.
dq2w8090E questo per mettere i puntini sulla i, dato che già dalla elegante insegna si legge “chinese luxury experience”.
Sono capitata da Fulin sull’onda del sentito dire in un giorno peraltro un po’ speciale anche se credevo deserto perché in pieno agosto. Qixi è infatti il giorno degli innamorati cinesi, un po’ come il nostro San Valentino.
In sala infatti mi ha subito colpito la presenza di tanti orientali ben vestiti, silenziosi ed educati ben diversi dalle masse caciarone che s’incontrava nei locali di cui sopra.
Bastava anche quello per capire che Fulin era altro, ma aggiungo.

Siamo in via Giampaolo Orsini zona periferica ma abbastanza vicina al centro in un elegante palazzo inizio ‘900 illuminato con eleganza e già la ravioli-marinascelta della sede, fuori da classici circuiti ruffiani, colpisce.

E’ impossibile raccontare questo ristorante senza soffermarsi a parlare di Gianni Ugolini, il proprietario dell’immobile dove Fulin ha trovato casa.
Gianni fotografo è per Firenze (ma non solo) un grosso nome. E’ il creatore della moda-mito degli anni ’80. E’ colui che con la sua macchina fotografica ha cambiato con pochi altri visionari il settore e non solo perché ha fotografato Roberto Cavalli quando ancora aveva i capelli corvini o Naomi Campell adolescente, ma perché il suo obbiettivo ha saputo inventare emozioni forti: sia che si trattasse di cogliere un volto, che di valorizzare un vestito.

branzino-doroGianni che oggi è sempre saldamente sulla breccia e che anzi ha il plusvalore di lavorare tanto e bene anche per associazioni di volontariato ha nel palazzo di famiglia accolto il sogno di due giovani e intraprendenti cinesi ormai italiani di seconda generazione: Francesco e Stefano Dai che provengono dalla Prato della ristorazione orientale del nonno. Quella da mille coperti – raccontano sorridendo come se fosse la cosa più normale del mondo – usata per i banchetti popolari dalla comunità cinese toscana dove però, in qualche modo, il lavoro si gestisce bene perché il servizio non esiste.

Ovvio che a Fulin è tutto diverso. Non solo il servizio c’è. Ma deve essere all’occidentale: elegante, puntuale e discreto. Per loro una sfida accettata con entusiasmo.
img_0049Idee chiare: una cucina cinese che guarda più a Pechino e Hong Kong che non a Shangai (quindi di respiro più internazionale) e una brigata di grande spessore “strappata” al meglio di Pechino.

L’ambiente non banale è assolutamente privo di orpelli kitch ma anzi, è elegante nelle sue ampie sale dove dominano i colori tenui e un eccellente mix fra minimalismo di design all’occidentale e pezzi unici orientali di grande antiquariato.
Il salone al primo piano, pur ricalcando lo stesso stile “chiude” con discrezione le tavolate con agili bambù – una concessione alle abitudini orientali ci spiega Stefano – dato che i cinesi amano anche al ristorante essere riservati.
E salendo ancora, dopo aver attraversato una _w6j0355cantina d’autore dove brillano le migliori etichette italiche e qualche eccellenza d’oltralpe ecco lo straordinario terrazzo con affaccio mozzafiato sul piazzale e Forte Belvedere. Perfetto per un tete-a-tete indimenticabile.

Sedendosi a tavola ed aprendo il menù si capisce che le scelte sono ben delineate.
Un assaggio d’Oriente nel cuore di Firenze con piatti speciali fra tradizione e modernità si legge nella prima pagina e scorrendo e assaggiando capiremo perché.
Il menù per meglio orientare l’ospite divide le portate all’occidentale ed è veramente una sorpresa.
Si parte con una scelta di ravioli al vapore dai nomi affascinanti: cristalli di mare, lunette profumate, bocciolo, girandoline…del tutto inediti _w6j9703con farciture preziose di gamberi, capesante, maiale e zucchine, manzo, curry e erba cipollina. Si può anche optare per i sempreverdi involtini declinati però con ripieno di gamberi e castagna, maiale, funghi neri e tofu,…
Fra gli spaghetti (asciutti o in brodo) fatti con pasta all’uovo o di riso colpiscono dal mare quelli con gambero, calamaro e granchio, o quelli di terra da scegliere fra la pasta all’uovo con carote, peperoncini, funghi al profumo di melanzane e gli spaghetti al riso con filetti di manzo, germogli di soia e erba cipollina. Se preferite il brodo imperdibili quelli accompagnati da insalata di uovo e spinaci.

Fra i secondi spiccano i filetti di manzo, maiale e agnello tutti con cotture semplici e salutari che non coprono i sapori. Da non perdere la vera anatra alla dolce-rugiadapechinese; sempre presente in menù nonostante la lunga e complessa preparazione.

Un viaggio nel gusto ittico è il salmone con salsa di arancio e cocco, il branzino con ripieno di funghi xiang gu e asparagi, l’ astice con zuppa di ginseng, il granchietto morbido con salsa piccante e una perfetta tempura.
Vasta e selezionata anche la scelta dei piatti a base di verdura fra cui i fagiolini saltati con foglie di ulivo e mandorle croccanti e i rotolini dell’orto. Fulin è quindi gourmet anche per vegetariani e vegani. E questo nel panorama fiorentino è già un altro bel punto a favore.
Piccola la carta dei dolci ma bando assoluto a gelato e frutta fritta, ovviamente.

Il prezzo? Nella logica della Luxury Experience non si può certo aspettarsi prezzi da “all you can eat” o da ristoranti fotocopia  dato che ogni pietanza oscilla tra i 10 e i 20 euro. Il conto, vino incluso si assesta intorno ai 50/60 euro.

Cosa manca? Forse qualche grande vino cinese che sicuramente a breve i due giovani imprenditori sapranno tirare fuori dal cilindro magico e un menù degustazione che sono certa arriverà a breve.
Per il resto c’è solo da applaudire a questa nuova esperienza “fuori da ogni schema”.
Info:
Fulin – Luxury Chinese Experience
via Giampaolo Orsini 113, Firenze
Telefono 055 684931
www.fulin.it – info@fulin.it

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[:it]Toscana: il 27 agosto arriva la festa degli Etruschi[:en]Toscana: dal 27 agosto arriva la festa degli Etruschi[:]

[:it]Toscana: il 27 agosto arriva la festa degli Etruschi[:en]Toscana: dal 27 agosto arriva la festa degli Etruschi[:]

[:it]ETRUSCAN_TERRACOTTA_PROFILE_OF_A_HEAD_01di Nadia Fondelli – Sono rinviate le due manifestazioni per le Celebrazioni etrusche, previste per il 27 agosto nella sede del Consiglio regionale. Lo ha deciso il presidente dell’assemblea regionale, Eugenio Giani.
Il riconoscimento alle città di eccellenza nella tradizione etrusca (che era previsto per le 12) e l’inaugurazione della mostra sui reperti provenienti dallo scavo di Poggio Colle (in programma alle 17 di domani), sono rinviati a venerdì 2 settembre, rispettivamente alle 16 e alle 17.

Il 27 agosto si svolgono, per il primo anno, le “Celebrazioni Etrusche”.  20 comuni coinvolti in tutta la Toscana e tante iniziative: dalle escursioni, alle visite ai siti archeologici e aperture speciali di musei passando per spettacoli teatrali e musicali. Su  tutto la grande mostra che aprirà le celebrazioni in consiglio regionale che svelerà per la prima volta gli scavi di Poggio Colla, Vicchio e il mondo degli Etruschi.

La Toscana celebra uno dei più grandi popoli che la storia ha conosciuto e che fa il VII e il VI  secolo a.C. ha rappresentato una delle civiltà più evolute d’Europa: gli Etruschi.
Finalmente, verrebbe da aggiungere dato che è quantomeno incredibile che solo la grande sensibilità del Etruschi-Sarcofago-degli-sposipresidente del Consiglio Regionale della Toscana Eugenio Giani abbia deciso di dare il giusto onore a questi nostri straordinari avi.
E la data non è casuale perché era proprio un 27 agosto, quello del 1589, quando Papa Pio V riconobbe al Signore di Firenze, Cosimo I, il titolo di Granduca di Toscana definendolo “Magnus Dux Etruriae” legittimando di fatto la radice storica del territorio che fu abitato dagli Etruschi.

E l’apertura delle celebrazioni non poteva essere più grande se non con l’apertura della mostra  “Scrittura e culto a Poggio Colla: un santuario etrusco in Mugello” che rimarrà aperta fino al 31 dicembre 2016 realizzata con la Sovrintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio della città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato ed il concessionario unico di ricerca e scavo Mugello Valley Archaelogical Project.
Si tratta di un’anteprima assoluta. Saranno infatti esposti i reperti di grande valore rinvenuti a Poggio Colla vicino a Vicchio che permettono peraltro di poter far luce anche sulla misteriosa lingua etrusca.
Il progetto scientifico, elaborato dalla Sovrintendenza e MVAP è seguito dal professor Gregory Warden della Franklin University Switzerland e dall’archeologo Susanna Sarti della Sovrintendenza.
Tutte le opere in mostra provengono dallo scavo in corso a Poggio Colla (Vicchio) e sono oggi conservate al centro di restauro della Sovrintendenza, al museo di Dicomano e presso il museo Beato Angelico di Vicchio.

Ma prima dell’apertura della mostra che sarà alle 17, durante l‘apertura delle celebrazioni alle 12 saranno premiate con una pergamena  le rappresentanze comunali di quelle che erano le dodecapoli della lega Etrusca tra cui Arezzo, Volterra, Cortona, Chiusi, Fiesole, Vetulonia (Castiglione della Pescaia), Populonia (Piombino) Roselle (Grosseto).

Gli Etruschi del resto sono una continua scoperta. La terra e la storia restituiscono infatti meraviglie a Chiusi dove è stata da poco svelata una nuova tomba a Roselle e Populonia dove le scoperte sono quasi quotidiane, a Gonfienti (Prato) dove un’intera città conferma l’esistenza di quella che risalendo il corso dell’Arno e scavalcando l’Appennino era considerata la “via dei due mari” dei tempi come testimoniano anche i ritrovamenti di Vicchio, la stele di Londa e il suggestivo lago degli Idoli sul Falterona.

E allora seguendo anche il suono della musica e il profumo del cibo scegliete dove andare a svelare i “genitori” dei Romani da cui il fiero popolo latino ha assorbito conoscenze in ogni campo.
ad Arezzo, Bibbiena, Cortona, Lucignano; nella zona di Grosseto a Castiglion della Pescaia; nella provincia di Firenze a Dicomano, Montaione, San Casciano Val di Pesa, Fiesole; sulla  costa livornese nei Parchi della Val di Cornia; nell’estremo nord di Massa Carrara a Montignoso; nella provincia di Pisa a Montescudaio, Montopoli Valdarno e Volterra; a Prato e infine nel senese a Chianciano Terme, Chiusi, Murlo, Sinalunga e Trequanda.
Per il calendario completo e info:
http://www.consiglio.regione.toscana.it/default.aspx?nome=etruschi[:en]ETRUSCAN_TERRACOTTA_PROFILE_OF_A_HEAD_01di Nadia Fondelli – 

Sono rinviate le due manifestazioni per le Celebrazioni etrusche, previste per il 27 agosto nella sede del Consiglio regionale. Lo ha deciso il presidente dell’assemblea regionale, Eugenio Giani.
Il riconoscimento alle città di eccellenza nella tradizione etrusca (che era previsto per le 12) e l’inaugurazione della mostra sui reperti provenienti dallo scavo di Poggio Colle (in programma alle 17 di domani), sono rinviati a venerdì 2 settembre, rispettivamente alle 16 e alle 17.

Il 27 agosto si svolgono, per il primo anno, le “Celebrazioni Etrusche”.  20 comuni coinvolti in tutta la Toscana e tante iniziative: dalle escursioni, alle visite ai siti archeologici e aperture speciali di musei passando per spettacoli teatrali e musicali. Su  tutto la grande mostra che aprirà le celebrazioni in consiglio regionale che svelerà per la prima volta gli scavi di Poggio Colla, Vicchio e il mondo degli Etruschi.

La Toscana celebra uno dei più grandi popoli che la storia ha conosciuto e che fa il VII e il VI  secolo a.C. ha rappresentato una delle civiltà più evolute d’Europa: gli Etruschi.
Finalmente, verrebbe da aggiungere dato che è quantomeno incredibile che solo la grande sensibilità del Etruschi-Sarcofago-degli-sposipresidente del Consiglio Regionale della Toscana Eugenio Giani abbia deciso di dare il giusto onore a questi nostri straordinari avi.
E la data non è casuale perché era proprio un 27 agosto, quello del 1589, quando Papa Pio V riconobbe al Signore di Firenze, Cosimo I, il titolo di Granduca di Toscana definendolo “Magnus Dux Etruriae” legittimando di fatto la radice storica del territorio che fu abitato dagli Etruschi.

E l’apertura delle celebrazioni non poteva essere più grande se non con l’apertura della mostra  “Scrittura e culto a Poggio Colla: un santuario etrusco in Mugello” che rimarrà aperta fino al 31 dicembre 2016 realizzata con la Sovrintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio della città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato ed il concessionario unico di ricerca e scavo Mugello Valley Archaelogical Project.
Si tratta di un’anteprima assoluta. Saranno infatti esposti i reperti di grande valore rinvenuti a Poggio Colla vicino a Vicchio che permettono peraltro di poter far luce anche sulla misteriosa lingua etrusca.
Il progetto scientifico, elaborato dalla Sovrintendenza e MVAP è seguito dal professor Gregory Warden della Franklin University Switzerland e dall’archeologo Susanna Sarti della Sovrintendenza.
Tutte le opere in mostra provengono dallo scavo in corso a Poggio Colla (Vicchio) e sono oggi conservate al centro di restauro della Sovrintendenza, al museo di Dicomano e presso il museo Beato Angelico di Vicchio.

Ma prima dell’apertura della mostra che sarà alle 17, durante l‘apertura delle celebrazioni alle 12 saranno premiate con una pergamena  le rappresentanze comunali di quelle che erano le dodecapoli della lega Etrusca tra cui Arezzo, Volterra, Cortona, Chiusi, Fiesole, Vetulonia (Castiglione della Pescaia), Populonia (Piombino) Roselle (Grosseto).

Gli Etruschi del resto sono una continua scoperta. La terra e la storia restituiscono infatti meraviglie a Chiusi dove è stata da poco svelata una nuova tomba a Roselle e Populonia dove le scoperte sono quasi quotidiane, a Gonfienti (Prato) dove un’intera città conferma l’esistenza di quella che risalendo il corso dell’Arno e scavalcando l’Appennino era considerata la “via dei due mari” dei tempi come testimoniano anche i ritrovamenti di Vicchio, la stele di Londa e il suggestivo lago degli Idoli sul Falterona.

E allora seguendo anche il suono della musica e il profumo del cibo scegliete dove andare a svelare i “genitori” dei Romani da cui il fiero popolo latino ha assorbito conoscenze in ogni campo.
ad Arezzo, Bibbiena, Cortona, Lucignano; nella zona di Grosseto a Castiglion della Pescaia; nella provincia di Firenze a Dicomano, Montaione, San Casciano Val di Pesa, Fiesole; sulla  costa livornese nei Parchi della Val di Cornia; nell’estremo nord di Massa Carrara a Montignoso; nella provincia di Pisa a Montescudaio, Montopoli Valdarno e Volterra; a Prato e infine nel senese a Chianciano Terme, Chiusi, Murlo, Sinalunga e Trequanda.
Per il calendario completo e info:
http://www.consiglio.regione.toscana.it/default.aspx?nome=etruschi[:]

Firenze: Florence Wine fa 10!

[:it]vino4di redazione – X edizione del Florence Wine Event in arrivo: ingresso a 10 euro, Vermentino, Ribolla gialla, Nebbiolo e Chianti Classico. Si svolgerà l’11 e 12 giugno all’Ippodromo del Visarno

E’ già iniziato il conto alla rovescia per uno degli eventi più attesi dagli amanti del vino in città. Torna a Firenze la decima edizione del Florence Wine Event, il più importante festival vinicolo che quest’anno si terrà l’11 e 12 giugno ed esce dal centro per trasferirsi all’Ippodromo del Visarno, all’interno del Parco delle Cascine nell’intento di ridare dignità a questo parco che troppe promesse ha avuto…

Sarà un’edizione speciale (e non solo per il biglietto d’ingresso di 10 euro!) con una formula nuova: alle tradizionali degustazioni delle più importanti etichette del territorio italiano spiegate dai produttori, si aggiunge il mercato a chilometro zero. Ogni stand, infatti, proporrà anche la vendita diretta dei vini in assaggio. Il pubblico potrà quindi acquistare subito, e ad un prezzo vantaggioso, il vino preferito direttamente dai produttori.

Protagonisti assoluti della manifestazione i vini che verranno da tutta Italia, ecco qualche anticipazione sulle aziende partecipanti: avremo la sarda Siddura con il suo vermentino, la friulana Salis Terrae con la ribolla gialla, le piemontesi Carretta e Criolin con Nebbiolo e Moscato d’Asti.  Poi, una bella rappresentanza di toscani: da Artimino a Castelli del Grevepesa, dalla Fattoria Poggiopiano alle Novelire, dalla Fattoria di Piazzano alla tenuta La Novella, solo per fare alcuni nomi.

Sarà inoltre davvero un evento per tutti, per appassionati, curiosi, coppie amici e da questa edizione anche per famiglie: ci sarà un’area kids gestita dalle animatrici di I’Brucomela dove i bambini potranno giocare e partecipare a laboratori mentre i genitori degusteranno il vino.

La location all’aperto permetterà di trascorrere un weekend rilassante godendo della frescura: ci saranno anche tante golosità enogastronomiche. Si potrà scegliere tra le delizie del Panaio, con i suoi salumi di qualità, la porchetta artigianale,  le vere tigelle con vari ripieni, il bombolone senza mollica, gelati artigianali e altre prelibatezze. In degustazione ci saranno anche olio e grappe.

Il festival vinoso ospiterà anche gli Extraevent con eventi speciali che si svolgeranno nei due giorni della manifestazione.

INFORMAZIONI
L’evento si svolgerà (anche in caso di maltempo) sabato 11 dalle ore 11 alle 23 e domenica 12 giugno dalle 11 alle 20.
Ingresso €10 a persona: Drink card con 10 degustazioni a scelta, brochure e calice (a cauzione) con tracollina. La cassa chiude un’ora prima del termine della manifestazione. Il pubblico potrà acquistare le bottiglie di vino direttamente dall’azienda preferita.[:en]vino4di redazione – X edizione del Florence Wine Event in arrivo: ingresso a 10 euro, Vermentino, Ribolla gialla, Nebbiolo e Chianti Classico. Si svolgerà l’11 e 12 giugno all’Ippodromo del Visarno

E’ già iniziato il conto alla rovescia per uno degli eventi più attesi dagli amanti del vino in città. Torna a Firenze la decima edizione del Florence Wine Event, il più importante festival vinicolo che quest’anno si terrà l’11 e 12 giugno ed esce dal centro per trasferirsi all’Ippodromo del Visarno, all’interno del Parco delle Cascine nell’intento di ridare dignità a questo parco che troppe promesse ha avuto…

Sarà un’edizione speciale (e non solo per il biglietto d’ingresso di 10 euro!) con una formula nuova: alle tradizionali degustazioni delle più importanti etichette del territorio italiano spiegate dai produttori, si aggiunge il mercato a chilometro zero. Ogni stand, infatti, proporrà anche la vendita diretta dei vini in assaggio. Il pubblico potrà quindi acquistare subito, e ad un prezzo vantaggioso, il vino preferito direttamente dai produttori.

Protagonisti assoluti della manifestazione i vini che verranno da tutta Italia, ecco qualche anticipazione sulle aziende partecipanti: avremo la sarda Siddura con il suo vermentino, la friulana Salis Terrae con la ribolla gialla, le piemontesi Carretta e Criolin con Nebbiolo e Moscato d’Asti.  Poi, una bella rappresentanza di toscani: da Artimino a Castelli del Grevepesa, dalla Fattoria Poggiopiano alle Novelire, dalla Fattoria di Piazzano alla tenuta La Novella, solo per fare alcuni nomi.

Sarà inoltre davvero un evento per tutti, per appassionati, curiosi, coppie amici e da questa edizione anche per famiglie: ci sarà un’area kids gestita dalle animatrici di I’Brucomela dove i bambini potranno giocare e partecipare a laboratori mentre i genitori degusteranno il vino.

La location all’aperto permetterà di trascorrere un weekend rilassante godendo della frescura: ci saranno anche tante golosità enogastronomiche. Si potrà scegliere tra le delizie del Panaio, con i suoi salumi di qualità, la porchetta artigianale,  le vere tigelle con vari ripieni, il bombolone senza mollica, gelati artigianali e altre prelibatezze. In degustazione ci saranno anche olio e grappe.

Il festival vinoso ospiterà anche gli Extraevent con eventi speciali che si svolgeranno nei due giorni della manifestazione.

INFORMAZIONI
L’evento si svolgerà (anche in caso di maltempo) sabato 11 dalle ore 11 alle 23 e domenica 12 giugno dalle 11 alle 20.
Ingresso €10 a persona: Drink card con 10 degustazioni a scelta, brochure e calice (a cauzione) con tracollina. La cassa chiude un’ora prima del termine della manifestazione. Il pubblico potrà acquistare le bottiglie di vino direttamente dall’azienda preferita.[:]

Firenze: fra capre e cavoli

[:it]750967-pzaDiaz1di Nadia Fondelli – Il nuove regolamento comunale per “tutelare” il centro storico vara un’astrusa regola per regolamentare il commercio alimentare, ma prende un abbaglio e confonde tipicità per qualità.

Confesso: appena letta la notizia mi sono messa a ridere. Poi ho guardato il calendario. Non è il 1° di aprile e allora sul viso mi sì è spento il sorriso.
Il comune di Firenze per fermare l’onda dei kebabbari e dei minimarket venditori di alcol ha deciso che nel centro storico, patrimonio Unesco, i negozianti debbano vendere per il 70% da filiera corta o a chilometro zero altrimenti niente licenza.

La prima risata mi è partita all’idea del fantomatico chilometro zero. Neologismo che appartiene al dizionario cibo-moda che fa tanto chic.
Cosa vuol dire chilometro zero? Niente. Ricordo che in un convegno illuminato fu proprio il rappresentante di un ente agricolo a livello nazionale a smontare, mattoncino per mattoncino l’astrusa teoria. “Solo chi viene a comprare direttamente nella mia fattoria acquista a chilometro zero. Se io esco dal cancello e vendo al mercatino, già di chilometri ne ho fatti alcuni!” disse. Come dargli torto. E allora meglio tutt’all più parlare di filiera corta.

La seconda risata mi è venuta poi dal senso stesso del provvedimento. Forse gli amministratori fiorentini non hanno le idee chiare e confondono capre e cavoli. La filiera corta non è sinonimo di qualità e altre sono le cose che andrebbero guardate in un centro storico Unesco.


Cadrei nel qualunquismo a parlare di un centro storico degradato perché la visione è disponibile a tutti fra sporcizia, abusivismo diffuso e tollerato, mendicanti molesti, etc…
Sorprende che si chiuda la stalla solo dopo che i buoi sono scappati mentre i kebbabari sono fioriti in ogni dove e dei minimarket ce ne siamo accorti dopo più ragazzini ricoverati in coma etilico. Del resto la liberalizzazione delle licenze questo ha prodotto.

Da oggi a dettare regole dagli scranni alti di Palazzo Vecchio saranno solo un gruppo di “saggi” (funzionari e dirigenti?) che sicuramente mai si sono trovati a  dover distinguere un cannellino da uno zolfino, ma che in nome della tipicità fiorentina cancellano dai banchi: prosciutti di Parma e San Daniele, Grana Padano, etc…

Il bello e il buono del made in Italy già massacrato e non difeso da un’ Europa che importa olio tunisino dalla salubrità dubbia ad ettolitri, che impone di buttar via il latte in favore di polverine magiche e che misura la lunghezza delle banane e la larghezza delle vongole oggi trova il nemico anche in casa.

Come se il problema fosse la distanza chilometrica di produzione e non la qualità. Meglio allora un riso prodotto dai cinesi dell’Osmannoro a un Vialone vercellese?

L’errore è tutto lì. Tipicità non fa rima per forza con qualità.

E allora se lotta al degrado alimentare sia perché non controllare “l’artigianalità” di prodotti fuori stagione o fuori logica (penso al gelato al cocco a gennaio in Italia!); perché non controllare come fa ogni trattoria del centro ad offrire chianina-e-vino-tutto-compreso a 10 Euro!

Aprile è vicino e sperando che fosse stato davvero solo un bel pesce del primo giorno e non il mese in cui partiranno le sanzioni consiglio ai funzionari ed amministratori di leggersi un bignamino di agroalimentare di qualità e tipicità e poi riparliamone nella speranza che non si siano fatti anche lor abbagliare dai consigli preziosi di uno dei tanti esperti di cibo che vanno così di moda alla faccia di:
il cibo è salute ed espressione culturale di ogni popolo.

 [:en]750967-pzaDiaz1di Nadia Fondelli – Il nuove regolamento comunale per “tutelare” il centro storico vara un’astrusa regola per regolamentare il commercio alimentare, ma prende un abbaglio e confonde tipicità per qualità.

Confesso: appena letta la notizia mi sono messa a ridere. Poi ho guardato il calendario. Non è il 1° di aprile e allora sul viso mi sì è spento il sorriso.
Il comune di Firenze per fermare l’onda dei kebabbari e dei minimarket venditori di alcol ha deciso che nel centro storico, patrimonio Unesco, i negozianti debbano vendere per il 70% da filiera corta o a chilometro zero altrimenti niente licenza.

La prima risata mi è partita all’idea del fantomatico chilometro zero. Neologismo che appartiene al dizionario cibo-moda che fa tanto chic.
Cosa vuol dire chilometro zero? Niente. Ricordo che in un convegno illuminato fu proprio il rappresentante di un ente agricolo a livello nazionale a smontare, mattoncino per mattoncino l’astrusa teoria. “Solo chi viene a comprare direttamente nella mia fattoria acquista a chilometro zero. Se io esco dal cancello e vendo al mercatino, già di chilometri ne ho fatti alcuni!” disse. Come dargli torto. E allora meglio tutt’all più parlare di filiera corta.

La seconda risata mi è venuta poi dal senso stesso del provvedimento. Forse gli amministratori fiorentini non hanno le idee chiare e confondono capre e cavoli. La filiera corta non è sinonimo di qualità e altre sono le cose che andrebbero guardate in un centro storico Unesco.


Cadrei nel qualunquismo a parlare di un centro storico degradato perché la visione è disponibile a tutti fra sporcizia, abusivismo diffuso e tollerato, mendicanti molesti, etc…
Sorprende che si chiuda la stalla solo dopo che i buoi sono scappati mentre i kebbabari sono fioriti in ogni dove e dei minimarket ce ne siamo accorti dopo più ragazzini ricoverati in coma etilico. Del resto la liberalizzazione delle licenze questo ha prodotto.

Da oggi a dettare regole dagli scranni alti di Palazzo Vecchio saranno solo un gruppo di “saggi” (funzionari e dirigenti?) che sicuramente mai si sono trovati a  dover distinguere un cannellino da uno zolfino, ma che in nome della tipicità fiorentina cancellano dai banchi: prosciutti di Parma e San Daniele, Grana Padano, etc…

Il bello e il buono del made in Italy già massacrato e non difeso da un’ Europa che importa olio tunisino dalla salubrità dubbia ad ettolitri, che impone di buttar via il latte in favore di polverine magiche e che misura la lunghezza delle banane e la larghezza delle vongole oggi trova il nemico anche in casa.

Come se il problema fosse la distanza chilometrica di produzione e non la qualità. Meglio allora un riso prodotto dai cinesi dell’Osmannoro a un Vialone vercellese?

L’errore è tutto lì. Tipicità non fa rima per forza con qualità.

E allora se lotta al degrado alimentare sia perché non controllare “l’artigianalità” di prodotti fuori stagione o fuori logica (penso al gelato al cocco a gennaio in Italia!); perché non controllare come fa ogni trattoria del centro ad offrire chianina-e-vino-tutto-compreso a 10 Euro!

Aprile è vicino e sperando che fosse stato davvero solo un bel pesce del primo giorno e non il mese in cui partiranno le sanzioni consiglio ai funzionari ed amministratori di leggersi un bignamino di agroalimentare di qualità e tipicità e poi riparliamone nella speranza che non si siano fatti anche lor abbagliare dai consigli preziosi di uno dei tanti esperti di cibo che vanno così di moda alla faccia di:
il cibo è salute ed espressione culturale di ogni popolo.

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Firenze: resilienza? Sì, si deve

[:it]Lunigiana148di Nadia Fondelli –  Si e svolto nei giorni scorsi nel magico scenario del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze un workshop importante, passato sottotraccia per i colleghi della stampa. Peccato.

Sarà per la mia anima di volontaria ma credo che parlare di  resilienza sia molto importante. E a tutti i livelli.
Mi soffermo un attimo sulla parola resilienza che anche se non ha il fascino di petaloso si può considerare un neologismo in quanto parola poco frequente da molti.
“Resilienza” significa “capacità degli oggetti di resistere a un urto”. Ma in Palazzo Vecchio, la parola è stata applicata agli esseri umani determinando così che resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici come i disastri naturali o gli atti di terrorismo.
Psicologi, sociologi, medici e altri specialisti si sono alternati all’oratoria per parlare di come “Accrescere la resilienza nella popolazione”.

Su tutti, a noi ha dato lo spunto per scrivere questo pezzo l’intervento gagliardo del sindaco di Montelupo Fiorentino Paolo Masetti, non a caso responsabile di protezione civile per l’Anci regionale e già dirigente di protezione civile in provincia.
Masetti ha colto l’occasione per lanciare un grido d’allarme e togliersi dalle scarpe alcuni sassolini. Nemmeno tanto piccoli.
I numeri parlano più di mille parole nella loro semplicità. Dal 1945 al 2015 in Italia per disastri naturali ci sono stati 5455 morti in 2458 comuni e 101 province in tutte le regioni italiane.
Se poi aggiungiamo che il 78% delle frane che colpiscono i 28 paesi della comunità europea sono in Italia non abbiamo certo da che stare rilassati.

Eppure di protezione civile si parla e si fa davvero poco.
Sembra che quei volontari vestiti con abiti sgargianti sbuchino fuori dal niente solo quando c’è qualche disastro.
Masetti ha voluto dire che, invece, di protezione civile serve parlare e farlo sempre.

Eppure anche alcuni sindaci non sono consapevoli della propria responsabilità. Ricordo un collega – dice  – che a seguito di una tragedia che aveva colpito il suo comune, intervistato su cosa stesse facendo per far fronte all’emergenza candidamente risposte che per questo si doveva sentire la protezione civile.
Ignorando che, in qualsiasi comune il responsabile massimo di protezione civile è proprio il sindaco!

Ma anche se il sindaco (fortunatamente nella maggioranza dei casi) è ben conscio del ruolo è altrettanto conscio di avere un cerino acceso in mano perché, tornando ai numeri, è quasi scontato che nell’arco del mandato si troverà a fronteggiare almeno un’emergenza più o meno grave che sia.
Il problema è quindi affrontare la situazione facendosi trovare preparati.
Le pubbliche amministrazioni notoriamente hanno le casse vuote, ma il problema non è solo nei danari ma anche nella mancanza di competenze.

In poche parole, per la regola astrusa della rotazione nei ruoli dei dipendenti delle amministrazioni comunali, ci sta che un sindaco si trovi ad occupare la poltrona di responsabile di protezione civile un dipendente senza alcuna competenza specifica che magari fino al giorno prima faceva certificati anagrafici.
Ovvio che finché non succede niente tutto passa sotto traccia ma.

La protezione civile svolge la sua funzione soprattutto se riesce a prevenire. Ma per prevenire serve parlare del tema come di un atto consapevole del quotidiano.
Ogni cittadino deve sapere che il primo esperto di protezione civile è lui stesso.
Il comune poi ci mette del suo. Con un sindaco consapevole e magari una figura professionale ad hoc, come sta chiedendo (e lavorando per farlo) Masetti sia a livello di Anci che presso il Dipartimento a Roma.
Serve qualcosa di nuovo, serve chiarezza.

Serve che ognuno abbia un ruolo e lo sappia svolgere perché se poi il disastro arriva sapere chi fa che cosa determina la differenza fra vivere e morire.
Ma soprattutto Masetti ci ha voluto scuotere ricordandoci di non abbassare la guardia ricordando sempre di parlare di protezione civile. Fosse anche per parlare semplicemente dei piani comunali, delle buone norme in caso di ghiaccio, neve, vento etc…

 [:en]Lunigiana148di Nadia Fondelli –  Si e svolto nei giorni scorsi nel magico scenario del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze un workshop importante, passato sottotraccia per i colleghi della stampa. Peccato.

Sarà per la mia anima di volontaria ma credo che parlare di  resilienza sia molto importante. E a tutti i livelli.
Mi soffermo un attimo sulla parola resilienza che anche se non ha il fascino di petaloso si può considerare un neologismo in quanto parola poco frequente da molti.
“Resilienza” significa “capacità degli oggetti di resistere a un urto”. Ma in Palazzo Vecchio, la parola è stata applicata agli esseri umani determinando così che resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici come i disastri naturali o gli atti di terrorismo.
Psicologi, sociologi, medici e altri specialisti si sono alternati all’oratoria per parlare di come “Accrescere la resilienza nella popolazione”.

Su tutti, a noi ha dato lo spunto per scrivere questo pezzo l’intervento gagliardo del sindaco di Montelupo Fiorentino Paolo Masetti, non a caso responsabile di protezione civile per l’Anci regionale e già dirigente di protezione civile in provincia.
Masetti ha colto l’occasione per lanciare un grido d’allarme e togliersi dalle scarpe alcuni sassolini. Nemmeno tanto piccoli.
I numeri parlano più di mille parole nella loro semplicità. Dal 1945 al 2015 in Italia per disastri naturali ci sono stati 5455 morti in 2458 comuni e 101 province in tutte le regioni italiane.
Se poi aggiungiamo che il 78% delle frane che colpiscono i 28 paesi della comunità europea sono in Italia non abbiamo certo da che stare rilassati.

Eppure di protezione civile si parla e si fa davvero poco.
Sembra che quei volontari vestiti con abiti sgargianti sbuchino fuori dal niente solo quando c’è qualche disastro.
Masetti ha voluto dire che, invece, di protezione civile serve parlare e farlo sempre.

Eppure anche alcuni sindaci non sono consapevoli della propria responsabilità. Ricordo un collega – dice  – che a seguito di una tragedia che aveva colpito il suo comune, intervistato su cosa stesse facendo per far fronte all’emergenza candidamente risposte che per questo si doveva sentire la protezione civile.
Ignorando che, in qualsiasi comune il responsabile massimo di protezione civile è proprio il sindaco!

Ma anche se il sindaco (fortunatamente nella maggioranza dei casi) è ben conscio del ruolo è altrettanto conscio di avere un cerino acceso in mano perché, tornando ai numeri, è quasi scontato che nell’arco del mandato si troverà a fronteggiare almeno un’emergenza più o meno grave che sia.
Il problema è quindi affrontare la situazione facendosi trovare preparati.
Le pubbliche amministrazioni notoriamente hanno le casse vuote, ma il problema non è solo nei danari ma anche nella mancanza di competenze.

In poche parole, per la regola astrusa della rotazione nei ruoli dei dipendenti delle amministrazioni comunali, ci sta che un sindaco si trovi ad occupare la poltrona di responsabile di protezione civile un dipendente senza alcuna competenza specifica che magari fino al giorno prima faceva certificati anagrafici.
Ovvio che finché non succede niente tutto passa sotto traccia ma.

La protezione civile svolge la sua funzione soprattutto se riesce a prevenire. Ma per prevenire serve parlare del tema come di un atto consapevole del quotidiano.
Ogni cittadino deve sapere che il primo esperto di protezione civile è lui stesso.
Il comune poi ci mette del suo. Con un sindaco consapevole e magari una figura professionale ad hoc, come sta chiedendo (e lavorando per farlo) Masetti sia a livello di Anci che presso il Dipartimento a Roma.
Serve qualcosa di nuovo, serve chiarezza.

Serve che ognuno abbia un ruolo e lo sappia svolgere perché se poi il disastro arriva sapere chi fa che cosa determina la differenza fra vivere e morire.
Ma soprattutto Masetti ci ha voluto scuotere ricordandoci di non abbassare la guardia ricordando sempre di parlare di protezione civile. Fosse anche per parlare semplicemente dei piani comunali, delle buone norme in caso di ghiaccio, neve, vento etc…

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