Giglio e Giannutri. I 4 appuntamenti da non perdere questa estate

Giglio e Giannutri. I 4 appuntamenti da non perdere questa estate

Dopo avervi raccontato quali sono le otto isole italiane più selvagge e meno frequentate dal turismo di massa (leggi qui) facciamo in questo caso un focus su cosa ci propone oltre al mare e alla natura incontaminata il parco dell’Arcipelago Toscano e più nell specifico le due meravigliose perle Giglio e Giannutri.
“E… state nel Parco” per tutti è un’alternativa alla spiaggia che il parco propone a famiglie, ragazzi e bambini per scoprire la natura e la storia dell’isole con escursioni, visite guidate, laboratori didattici, conferenze e citizen science per vivere intensamente la natura e la cultura dell’Area protetta.
Previsto anche un programma specifico “E… state nel Parco Junior” con Laboratori gratuiti per bambini da 6 a 11 anni, educazione ambientale, giochi didattici, laboratori; sull’ecosistema marino e sugli ambienti del Parco: specie animali e vegetali, minerali, conservazione, sostenibilità.

Veduta di Giglio Porto


1 – Cosa fare sull’isola del Giglio fra granito e natura

Martedì è il giorno dedicato alla geologia Si raggiunge la località Le Porte dove davanti al panorama che spazia fino a Giannutri, la Guida Parco metterà in luce tutte le possibili caratteristiche conosciute della roccia che caratterizza il 90% dell’Isola del Giglio, il granito.
Verranno osservate varie manifestazioni geologiche e si riconosceranno nella roccia granitica, erosa dal vento, le forme di tanti animali.
Si salirà poi a Poggio della Pagana, il punto più alto dell’isola, per ammirare il panorama a 360° sul territorio e il tramonto sulle isole dell’Arcipelago Toscano.
Ogni martedì: ritrovo: 4 ore prima del tramonto, Giglio Castello, Piazza Gloriosa Durata: 4 ore – Difficoltà: media – Su prenotazione. € 8; € 4 ridotto (5 – 12 anni), gratuito 0-4 anni

Veduta su Giannutri

2 – L’estate per i più piccoli dell’isola del Giglio

Appuntamento per i bambini tutti i mercoledì con la scoperta delle ricchezze naturali dell’isola: incontri settimanali il mercoledì mattina, che alterneranno un’escursione a piedi alla ricerca dei minerali dell’isola e una passeggiata nel bosco per conoscere, attraverso il gioco, il mondo degli alberi e delle piante.
Ogni mercoledì: ritrovo: ore 10 Piazza Gloriosa, Giglio Castello – Durata: 2 ore. Evento gratuito su prenotazione, massimo 10 partecipanti.

Isola di Giannutri

3 – Trekking sotto le stelle sulla vetta di Poggio Pagana

Escursione serale di sabato sera che, in meno di un’ora di cammino, ci farà raggiungere il Poggio della Pagana a 496 metri sopra il livello del mare, il punto più alto dell’Isola del Giglio, per ammirare il panorama tutto intorno e il tramonto ad Ovest.
Cena al sacco a cura dei partecipanti. Appena buio, si ammirerà il cielo stellato e le sue costellazioni in una delle zone a più basso inquinamento luminoso dell’isola.
Saranno graditi tra i partecipanti apporti personali sia di materiale tecnico (es. binocoli o telescopi) che di narrazione riguardanti il cielo stellato, per rendere più indimenticabile la serata.
Ritrovo: due ore prima del tramonto, Giglio Castello, Piazza Gloriosa – Durata: 3 ore – Difficoltà: media. Su prenotazione, € 8; € 4 ridotto (5 – 12 anni), gratuito 0-4 anni.

Giglio Castello


4 – Cosa fare sull’isola di Giannutri fra mare e archeologia

A Giannutri, tra scogliere rocciose e sentieri profumati dalla macchia mediterranea, si ammirano i resti di una villa di epoca romana: antico complesso residenziale con scalo marittimo, un tempo quartier generale per la sosta dei velieri e per l’otium e costruito nel I secolo d.C. dalla potente famiglia dei Domizi Enobarbi di cui Nerone fu un discendente.
Durata: 40 minuti circa – Difficoltà: facile – Ticket € 8; esenti bambini e ragazzi 0-18 anni, disabili e loro accompagnatori.
È necessario dotarsi di biglietto per il passaggio marittimo. In alternativa è possibile acquistare (online o presso l’Ufficio Info Park) un pacchetto comprensivo di Motonave e vista alla Villa Romana. Ticket € 45, ridotto €28 ragazzi 5-12 anni, esenti bambini 0-4 anni.
La visita è arricchita da nuovi elementi archeologici oggetto di recenti restauri, tra cui il pregevole Mosaico del Labirinto. Ticket 5 €, da acquistare a bordo o sull’Isola, rivolgendosi alla Guida Parco.

Ecco una lista dei prossimi eventi a Giglio e Giannutri
Tutte le escursioni si possono prenotare online https://www.parcoarcipelago.info/prenota-le-escursioni-del-parco-nazionale/ oppure telefonicamente, contattando Info Park, tel. 0565 908231.

 

La Toscana salva dall’estinzione quattro varietà di vecchie sementi

La Toscana salva dall’estinzione quattro varietà di vecchie sementi

Avremo ancora la fortuna di assaggiare una zuppa fatta col “cavolo torso” del Giglio, una  pomarola di “pomodori di scasso” o un piatto di “fagioli borlotti del minatore” ma anche di gustare una polenta di granturco di Castell’Azzara. Sono queste le quattro varietà che erano a rischio estinzione ma che sono state ufficialmente recuperate scongiurando dunque il pericolo di vederle perdute per sempre.

Sull’isola del Giglio tornano il cavolo torso e il pomodoro di scasso

Al Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano che ha portato avanti un progetto finanziato con il supporto dell’Università di Pisa, con l’aiuto e l’interessamento del Circolo Culturale Gigliese, va il merito di aver recuperato il Cavolo Torso e il Pomodoro di Scasso sull’Isola del Giglio.
E’ stata invece la Comunità del cibo e dell’agrobiodiversità dell’Amiata, grazie a un progetto finanziato realizzato con l’Università di Pisa,  a salvare il “fagiolo borlotto del minatore” e il “granturco di Castell’Azzara”.
”L’attività di recupero delle vecchie e dimenticate specie nostrane di interesse agricolo  – ha detto la vicepresidente e assessora all’agroalimentare Stefania Saccardi –  diventa fondamentale per la conservazione di un patrimonio genetico unico e prezioso dal punto di vista agronomico, alimentare e culturale. Sosteniamo le comunità del cibo e le associazioni che si prendono in carico di salvarlo dall’estinzione nell’ottica di una valorizzazione dell’agrobiodiversità e nell’incremento della ricerca per aumentare la qualità dei frutti, ridurre l’impiego dei prodotti chimici in frutticoltura, contenere i costi di produzione e tutelare la biodiversità vegetale. Con la perdita dei semi non solo si perdono varietà ma si perde una fetta della nostra storia e della nostra identità culturale».

Il cavolo torso rinasce negli orti di Mortoleto

Il cavolo torso veniva coltivato sull’isola “ab immemorabile” e per fini gastronomici.  La varietà viene coltivata in piccoli orti familiari dell’Isola del Giglio ma sembra che gli agricoltori dell’isola coltivassero questa varietà da “più di quattro generazioni, oltre che negli orti della località del Mortoleto anche in molti altri luoghi dell’isola, nei quali i fattori pedologici conferiscono al terreno le caratteristiche colturali adatte”.
Il rischio di estinzione è alto sia per il numero dei coltivatori sia per l’età che hanno. Al rischio contribuisce anche la limitata dimensione delle superfici coltivate e l’assenza di un sistema di conservazione in situ ed ex situ che può da oggi partire grazie all’iscrizione al Repertorio regionale della LR 64/04 che  può essere un primo passo verso una vera valorizzazione del prodotto.

I pomodori di scasso che il prete piantò nei vigneti

Sul pomodoro di scasso si racconta che un sacerdote gigliese del ‘700, Domenico Aldi, soprannominato Fontana, dell’arcipretura di San Pietro e Paolo di Giglio Castello, avesse la passione di salare le acciughe e conservarle in giarrette, secondo la tradizione isolana.
Una volta all’anno andava a Firenze in un convento di frati a cui faceva omaggio delle sue acciughe e riceveva in cambio prodotti della campagna toscana. Una volta i frati gli regalarono dei semi di pomodoro che non avevano necessità di essere annaffiati purché fossero seminati in terreno ben dissodato: una caratteristica molto favorevole del terreno agrario del Giglio, isola molto siccitosa.
Così si pensò di piantare i semi nelle vigne che godono di una zappatura profonda che la Giglio è chiamata “scasso” . Nacquero così i pomodori che furono detti “Pomodori di scasso” o “Pomodori di Fontana”.  Da allora i pomodori introdotti da don Domenico Aldi vengono coltivati non negli orti ma nelle vigne, in particolare quando queste vengono periodicamente zappate più a fondo.
I frutti sono grossi, polilobati di color rosso intenso e vengono utilizzati soprattutto per la preparazione di conserve. La varietà è stata fino ad oggi coltivata da alcuni agricoltori dell’isola, che hanno mantenuto e conservato nel tempo questa tipicità locale. Questo tipo di pomodoro non  è solo molto adatto per fare salse, ma anche per “strusciarlo sul pane” o fare i pomodori secchi, soprattutto per la sua particolarità di contenere uno scarso quantitativo di acqua. 

Sull’Amiata rinascono il fagiolo borlotto del minatore e il granturco di Castell’Azzara

La Comunità del Cibo dell’Amiata, grazie al progetto l’Università di Pisa, ha potuto accertare il legame di questa varietà locale con il territorio amiatino. Il fagiolo in questione è stato conservato e da sempre coltivato da un agricoltore di Castell’Azzara, Alberto Lazzeri  – oggi deceduto –  e dalla sua famiglia alla quale il seme è stato tramandato dalle generazioni precedenti. Grazie alla costanza della famiglia Lazzeri, che lo ha riprodotto e custodito nel tempo, alcuni agricoltori della Comunità del Cibo dell’Amiata, hanno ripreso a coltivare questo fagiolo e ad apprezzarne sempre di più le caratteristiche qualitative. 
Il fagiolo borlotto del minatore veniva coltivato nei “granturcai” in consociazione con il granturco locale che fungeva da tutore alla pianta di fagiolo ed entrambe venivano raccolte a mano. 


Il borlotto coltivato fra il granturco

Il fagiolo borlotto si gusta dopo opportuno ammollo e lessatura, tipicamente utilizzato in minestre e zuppe; può anche essere consumato anche in bianco condito con sale, pepe, olio e aceto. Come tutti i fagioli borlotti, anche questo è particolarmente indicato nelle zuppe ed impiegato in un tipico piatto della tradizione locale chiamato “minestra con i ceciarelli” che sono realizzati con l’impasto di acqua e farina di grano duro. 

Il granturco di Castell’Azzara, pane dell’Amiata

Per il granturco di Castell’Azzara, dalle prime informazioni avute dagli agricoltori e dai vari soggetti interessati alla messa in sicurezza della varietà, emerge che, insieme alla castagna, è stato fin dalla metà del 1700 la principale fonte di sostentamento degli abitanti dell’area dell’Amiata. E’ rimasto fonte di sostentamento fino alla prima metà del 1900 quando poi venne quasi completamente sostituito da altri cereali, principalmente dal grano. La coltivazione del granturco venne così quasi del tutto interrotta a seguito anche della dismissione dell’attività mineraria con conseguente spopolamento delle aree montane e sub-montane del territorio amiatino. Grazie alla tenacia e lungimiranza di un agricoltore di Castell’Azzara, Silvio Papalini, i semi di questa varietà autoctona sono stati mantenuti nel tempo fino ad oggi.  
Con il granturco di Castell’Azzara si fa la polenta. Ai tempi, si tagliava a fette che venivano poi passate sulla piastra della stufa economica per renderle croccanti senza friggerle, accompagnate con formaggio. Oppure si faceva la semplice polenta accompagnata ai fegatelli di maiale.

 

 

“Penna a spillo” – Concordia: un pericoloso corteo funebreConcordia: a dangerous funeral procession

di Nadia Fondelli – Sono già due anni e mezzo che, fra mille bla bla di mille pseudo esperti di ogni materia e di ogni dove s’inzuppa a piene mani nella polemica della titanica spiaggiata della balena Costa quasi dentro il porticciolo di Giglio Porto. Facile davvero. Sembrava inaffondabile quel gigante ormai arrugginito esattamente come 100 anni prima lo sembrava il Titanic. Farebbe quasi sorridere la cialtroneria di questo assurdo naufragio vissuto in mondovisione se non portasse in dote molte vite umane perse per la guapperia da bullo di un abbronzato e riccioluto comandante che per la sua codardia è addirittura diventato un neologismo da dizionario. Si parla delle sue mille cravatte di seta e abiti sartoriali cambiati durante le udienze in tribunale; si fa a scarica barili sulle responsabilità trovando il colpevole perfetto in un piccolo timoniere indonesiano che non capisce gli ordini impartiti in un maccheronico inglese dal diligente comandante fra un sorso di champagne e un abbraccio alla bella e misteriosa moldava che gli faceva compagnia quella sera. Si cerca di far sparire – o almeno spostare dalle mappe – quel maledetto scoglio delle Spore che, vista isola di Giannuutri, è lì immobile e ben in vista da millenni. Insomma, si fa di tutto e di più… Si accende i riflettori sulle più minime bazzecole, ma si sorvola fischiettando nella voluta indifferenza su quello che è potuto succedere, che succedere adesso e che succederà con il malinconico corteo funebre verso Genova. Generici e rassicuranti: “il mare è a posto, si fa i controlli a vista”. A vista ?!? E le analisi?!? Ciò che preoccupa è come si provvederà a bonificare l’area e a salvaguardare le acque “proibite” del Parco dell’Arcipelago Toscano. Come si potrà garantire che il feretro della nave nel suo mesto ultimo viaggio verso Genova non scarichi continuamente una scia di veleno in mare? “Tutto a posto! La nave rigalleggia, la rimorchiamo verso Genova”. Tanto in tutto questo tempo in mare quella ex nave non si è ridotta in un ferrovecchio arrugginito e bucherellato; tanto i detersivi, le derrate alimentari, i mobili, le suppellettili e tutto ciò che c’era a bordo in tutto questo tempo non hanno fatto alcun danno…” Come non credergli, loro sono gli esperti che sorridono dalla tv strapagati e abbronzati per questa vacanza estiva speciale al Giglio. Loro vigilano sempre sulla tutela delle acque “proibite” dell’Arcipelago toscano. Certo, del resto basta per confermarlo andare con la memoria solo un mese indietro rispetto al famoso naufragio. Era il dicembre del 2011 quando, più o meno nei paraggi, al largo dell’isola di Gorgona durante una burrasca una nave ha perso in mare diversi barili di materiale pericoloso sversandolo nelle acque. Tutto è passato sotto traccia, quasi non ne sapeva niente nemmeno la Regione Toscana. Silenzio totale, ma loro hanno sicuramente vigilato perchè quelle erano le acque “proibite” del Parco dell’Arcipelago Toscano. Tant’è che, fra notizie frammentarie, confermate e smentite, quei barili velenosi m sei risulta siano smpre lì, sui fondali di Gorgona a vomitare veleni in faccia a muggini ed aragoste. Loro vigilano ogni estate chiudendo più di un occhio quando (spesso) qualche “sprovveduto” politico-turista viene pizzicato ad immergersi o addirittura pescare nelle acque “proibite” del Parco. Loro non hanno mai visto quello che ho visto io e tanti altri occhi più volte dall’isola d’Elba e dallo stesso Giglio. Enormi grattacieli del mare lì, troppo vicini alla costa. Tiravo un sospiro di sollievo ogni volta. Non sapevo che si chiamava inchino quella follia, ma tutte le volte che vedevo quelle enormi navi pettinare il bagnasciuga da cittadina al mare ingannata dalla prospettiva schiacciata mi parevano così vicine, pericolosamente vicine. Quelle balene da crociera facevano come una bella donna davanti a un manipolo di giovanotti: un passaggio lieve e leggero, ondeggiando armonicamente sui fianchi per farsi ammirare in tutte le sue grazie. Ma tornando ancora indietro con la memoria, all’estate precedente, la cosa che più mi salta in mente e mi stride fortemente fra i neuroni è soprattutto che loro hanno impedito con mille carte bollate ad un povero cristo di nuotatore impegnato in un’impresa umana al limite dell’impossibile – come attraversare a nuoto e in solitario in 6 giorni le 7 isole dell’Arcipelago toscano – di raggiungere a nuoto, e sottolineo a nuoto, lo scoglio dell’Isola di Montecristo. Non si può – fu la risposta decisa – queste sono acque proibite e tutelate perchè fanno parte del Parco Naturale dell’Arcipelago Toscano e si mandò addirittura incontro al solitario nuotatore le pattuglie a sorvegliare e scortarlo come i due carabinieri che arrestano Pinocchio… Stridono davvero questi ricordi oggi che, con leggerezza, si è predisposto addirittura l’ultima crociera della Concordia fra le acque dell’Arcipelago fino a sfiorare la Corsica e facendo incazzare i francesi. Il disastro ambientale è in agguato ad ogni onda, ma fa niente… La certezza è solo che il disastro ambientale lo fa sempre l’essere umano con le sue decisioni border line. Lui il vero responsabile di ogni sciagura ambientale. Oggi però ho una certezza in più. La pipì rilasciata nell’acqua salmastra da un nuotatore nel pieno della sua trance agonistica è decisamente più dannosa all’ambiente delle tonnellate di spazzatura che può riversare fra i flutti una balena del mare spiaggiata!

by redaction – di Nadia Fondelli – Sono già due anni e mezzo che, fra mille bla bla di mille pseudo esperti di ogni materia e di ogni dove s’inzuppa a piene mani nella polemica della titanica spiaggiata della balena Costa quasi dentro il porticciolo di Giglio Porto. Facile davvero. Sembrava inaffondabile quel gigante ormai arrugginito esattamente come 100 anni prima lo sembrava il Titanic. Farebbe quasi sorridere la cialtroneria di questo assurdo naufragio vissuto in mondovisione se non portasse in dote molte vite umane perse per la guapperia da bullo di un abbronzato e riccioluto comandante che per la sua codardia è addirittura diventato un neologismo da dizionario. Si parla delle sue mille cravatte di seta e abiti sartoriali cambiati durante le udienze in tribunale; si fa a scarica barili sulle responsabilità trovando il colpevole perfetto in un piccolo timoniere indonesiano che non capisce gli ordini impartiti in un maccheronico inglese dal diligente comandante fra un sorso di champagne e un abbraccio alla bella e misteriosa moldava che gli faceva compagnia quella sera. Si cerca di far sparire – o almeno spostare dalle mappe – quel maledetto scoglio delle Spore che, vista isola di Giannuutri, è lì immobile e ben in vista da millenni. Insomma, si fa di tutto e di più… Si accende i riflettori sulle più minime bazzecole, ma si sorvola fischiettando nella voluta indifferenza su quello che è potuto succedere, che succedere adesso e che succederà con il malinconico corteo funebre verso Genova. Generici e rassicuranti: “il mare è a posto, si fa i controlli a vista”. A vista ?!? E le analisi?!? Ciò che preoccupa è come si provvederà a bonificare l’area e a salvaguardare le acque “proibite” del Parco dell’Arcipelago Toscano. Come si potrà garantire che il feretro della nave nel suo mesto ultimo viaggio verso Genova non scarichi continuamente una scia di veleno in mare? “Tutto a posto! La nave rigalleggia, la rimorchiamo verso Genova”. Tanto in tutto questo tempo in mare quella ex nave non si è ridotta in un ferrovecchio arrugginito e bucherellato; tanto i detersivi, le derrate alimentari, i mobili, le suppellettili e tutto ciò che c’era a bordo in tutto questo tempo non hanno fatto alcun danno…” Come non credergli, loro sono gli esperti che sorridono dalla tv strapagati e abbronzati per questa vacanza estiva speciale al Giglio. Loro vigilano sempre sulla tutela delle acque “proibite” dell’Arcipelago toscano. Certo, del resto basta per confermarlo andare con la memoria solo un mese indietro rispetto al famoso naufragio. Era il dicembre del 2011 quando, più o meno nei paraggi, al largo dell’isola di Gorgona durante una burrasca una nave ha perso in mare diversi barili di materiale pericoloso sversandolo nelle acque. Tutto è passato sotto traccia, quasi non ne sapeva niente nemmeno la Regione Toscana. Silenzio totale, ma loro hanno sicuramente vigilato perchè quelle erano le acque “proibite” del Parco dell’Arcipelago Toscano. Tant’è che, fra notizie frammentarie, confermate e smentite, quei barili velenosi m sei risulta siano smpre lì, sui fondali di Gorgona a vomitare veleni in faccia a muggini ed aragoste. Loro vigilano ogni estate chiudendo più di un occhio quando (spesso) qualche “sprovveduto” politico-turista viene pizzicato ad immergersi o addirittura pescare nelle acque “proibite” del Parco. Loro non hanno mai visto quello che ho visto io e tanti altri occhi più volte dall’isola d’Elba e dallo stesso Giglio. Enormi grattacieli del mare lì, troppo vicini alla costa. Tiravo un sospiro di sollievo ogni volta. Non sapevo che si chiamava inchino quella follia, ma tutte le volte che vedevo quelle enormi navi pettinare il bagnasciuga da cittadina al mare ingannata dalla prospettiva schiacciata mi parevano così vicine, pericolosamente vicine. Quelle balene da crociera facevano come una bella donna davanti a un manipolo di giovanotti: un passaggio lieve e leggero, ondeggiando armonicamente sui fianchi per farsi ammirare in tutte le sue grazie. Ma tornando ancora indietro con la memoria, all’estate precedente, la cosa che più mi salta in mente e mi stride fortemente fra i neuroni è soprattutto che loro hanno impedito con mille carte bollate ad un povero cristo di nuotatore impegnato in un’impresa umana al limite dell’impossibile – come attraversare a nuoto e in solitario in 6 giorni le 7 isole dell’Arcipelago toscano – di raggiungere a nuoto, e sottolineo a nuoto, lo scoglio dell’Isola di Montecristo. Non si può – fu la risposta decisa – queste sono acque proibite e tutelate perchè fanno parte del Parco Naturale dell’Arcipelago Toscano e si mandò addirittura incontro al solitario nuotatore le pattuglie a sorvegliare e scortarlo come i due carabinieri che arrestano Pinocchio… Stridono davvero questi ricordi oggi che, con leggerezza, si è predisposto addirittura l’ultima crociera della Concordia fra le acque dell’Arcipelago fino a sfiorare la Corsica e facendo incazzare i francesi. Il disastro ambientale è in agguato ad ogni onda, ma fa niente… La certezza è solo che il disastro ambientale lo fa sempre l’essere umano con le sue decisioni border line. Lui il vero responsabile di ogni sciagura ambientale. Oggi però ho una certezza in più. La pipì rilasciata nell’acqua salmastra da un nuotatore nel pieno della sua trance agonistica è decisamente più dannosa all’ambiente delle tonnellate di spazzatura che può riversare fra i flutti una balena del mare spiaggiata!

Firenze: il fiore di Firenze fa bella mostra di se!The flower of Florence makes a good show of itself!

di Nadia Fondelli – Dal 25 aprile e fino al 20 maggio, come tradizione primaverile fiorentina, tornano a schiudersi le porte, al Piazzale Michelangelo del Giardino dell’Iris.

Due ettari e mezzo in una tenuta ad oliveto con affaccio mozzafiato sulla città per il fiore simbolo di Firenze chiamato popolarmente giaggiolo (dal latino gladius = spada) per la sua struttura spatiforme delle foglie.
Coloratissimi vialetti selciati in pietra serena, piazzole, scalette e saliscendi che ospitano una mostra permanente di Iris di infinite varietà che hanno partecipato alle varie edizioni del Concorso Internazionale dell’Iris.

Un fiore che in questo periodo offre la sua esplosiva fioritura e che da sempre è simbolo di Firenze: una sua rappresentazione stilizzata appare nei soldi d’argento della repubblica fiorentina fin del XII secolo; e, successivamente, nel potentissimo fiorino d’oro.

Il “giglio” appare anche nel gonfalone della città fin dal 1250, anche se in realtà all’epoca era un’iris bianca della varietà alba florentina – che cresceva spontaneamente nella valle dell’Arno. E’ dal 1266, dopo la cacciata dei Ghibellini, che i Guelfi vincitori invertirono i colori dello stemma cittadino, creando l’insegna che è rimasta fino ad oggi: un’iris rossa – mai esistita in natura! – su sfondo bianco.

Per confermare il ruolo di Firenze come “Capitale dell’Iris”, ecco, come da tradizione fin dal 1954, anche per quest’anno il Concorso Internazionale che premia le migliori varietà di iris e ne conserva, anno dopo anno, una traccia storica bulbosa in questo inimitabile Giardino del Podere dei Bastioni, sul lato est del Piazzale Michelangelo.
Ogni anno il Concorso richiama gli ibridatori di tutto il mondo, che propongono varietà sempre nuove ed originali nei colori e nelle forme.

Iris barbate, alte, da bordura, spontanee ed ornamentali di ogni tipo si contendono il premio assegnato da una qualificata giuria internazionale e quello del Comune che assegna il premio “Città di Firenze” al fiore il cui colore più si avvicina al rosso del gonfalone.
E’ rimasta negli annali a tal proposito – per curiosità storica – la vittoria nel 1973 dell’americano George Specht con “Rosso Fiorentino” la prima Iris ibridata in Italia ad aggiudicarsi entrambi i premi.
Non perdete l’occasione di ammirare questo giardino unico!

Info:
Giardino dell’Iris
Piazzale Michelangelo, balcone est
Orario d’apertura:  10,00-12,30 / 15,00-19,00
Ingresso: gratuito
Per prenotazioni e informazioni: 055.483112 (martedì/venerdì ore 10/12,30)
www.irisfirenze.it.by Nadia Fondelli – From 25 April until 20 May, as a Florentine springtime tradition, the Iris Garden opens its doors again in Piazzale Michelangelo male enhancements viagra and cialis.

Two and a half hectares in an olive estate with a breathtaking view over the city for the flower, the symbol of Florence commonly known as the giaggiolo (from the Latin gladius meaning sword) due to the sword-like structure of the leaves.

Colourful little streets paved in pietra serena, large squares, steps and ups and down that are home to a permanent exhibition of infinite varieties of iris that took part at the various editions of the International Iris Competition.
It’s a flower that offers an explosive blossoming at this time of year and which has always been the symbol of Florence. A stylised representation appeared on the silver coins of the Florentine republic since the 12th century and, later, on the powerful golden florin.

The “giglio” has also appeared on the city’s banner since 1250, although it was actually a white iris of the alba florentina variety at the time – which grew wild in the Arno valley. It was in 1266, after driving out the Ghibellines, that the victorious Guelphs inverted the colours of the city’s coat of arms, creating the flag that has remained to the present day: a red iris – which has never existed in nature – on a white background.

To confirm the role of Florence as the capital of the iris, as tradition has it since 1954, this year the international competition that awards the best varieties of iris will also take place in this inimitable Podere dei Bastioni garden, on the eastern side of Piazzale Michelangelo, as well as preserving a bulbous historical outline year after year.
The competition appeals to hybrid gardeners from all over the world every year, who propose new and original varieties in terms of colour and shape.

Tall, bearded, border, wild and ornamental iris of every type contend for the prize awarded by a highly qualified international jury and the City Council prize that awards the Città di Firenze prize for the flower whose colour is closest to the red of the banner.

The 1973 victory by the American George Specht with Rosso Fiorentino, the first hybrid iris in Italy winning both prizes, went down in the history books for this very reason.
Don’t miss out on a chance to enjoy this unique garden!
Info:
Giardino dell’Iris
Piazzale Michelangelo, east balcony
Opening times:  10 am-12:30/3-7 pm
Free entry
Per prenotazioni e informazioni: 055.483112 (martedì/venerdì ore 10/12,30)
www.irisfirenze.it.

L’AnsonicaL’Ansonica

In una terra di gole rosse e possenti come la Toscana, l’ansonica rappresenta una delle voci bianche che con sempre maggiori ascolti sanno cantare fuori dal coro, svincolando la Maremma del vino dal suo interprete più celebrato, il Morellino.

Siamo lungo il tratto del grossetano che guarda verso il Monte Argentario, territorio ideale per quest’uva conosciuta ed apprezzata fin dall’antichità dove tener fede alla sua innata vocazione costiera.

L’ansonica si lega infatti per storia e caratteristiche alle zone di mare, con una simpatia tutta particolare per le isole: Isola d’Elba, Isola del Giglio, Sardegna e soprattutto Sicilia, dov’è conosciuta come inzolia, protagonista fra le più rappresentative della viticoltura locale.

Una tradizione che lungo la costa dell’Argentario è portata avanti con incoraggianti risultati da un numero crescente di piccoli produttori.
Vera chicca è quella offerta dell’Isola del Giglio, uno delle più colorite espressioni di quella viticoltura cosiddetta eroica che vede l’uomo impegnato a strappare a Madre Natura lembi di terra coltivabili.

I filari di ansonaco, come viene localmente chiamata l’uva, sorgono su piccoli terrazzamenti a picco sul mare ancora puntellati di curiose costruzioni in muratura, i palmenti, realizzate dagli abitanti dell’isola fra il XVI ed il XVII e destinate alla pigiatura delle uve, che per problemi di trasporto avveniva direttamente sul campo.
Oltre a Giglio e Argentario la produzione interessa anche parte dei territori di
Capalbio, Manciano e Orbetello.

Del 1995 è il disciplinare che, riconoscendo storia e tipicità di vino e vitigno, ha istituito la Doc “Ansonica Costa dell’Argentario”, imponendo in produzione l’utilizzo di uve Ansonica in misura non inferiore all’85%.
In tavola l’abbinamento resta legato alla tradizione costiera di quest’angolo di Maremma: vino fresco e dagli aromi delicati che ricordano fiori e agrumi, di corpo leggero, ben accompagna il pesce a tutto pasto, evitando però preparazioni troppo elaborate.
Più strutturata la versione prodotta sul Giglio, dove il clima caldo e soleggiato porta nel bicchiere vini dal corpo più robusto, con gradazione alcolica anche piuttosto sostenuta.

Fior d’Ansonica” Ansonica Costa dell’Argentario Doc
Cantina Capalbio (Capalbio, GR)
Vino Ansonaco Isola del Giglio
Azienda agricola Altura (Isola del Giglio, GR)

Marco Ghelfi

In a land of mighty red gorges, like Tuscany the ansonica is one of the whites that, with increasing attention, knows how to stand on its own two feet, releasing the Maremma of its most celebrated star in the field of wine, the Morellino.

We are heading along the section of the road for Grosseto that looks towards Monte Argentario, the perfect land for this well-known grape that has been enjoyed since antiquity where it keeps faith in its innate coastal vocation.

The ansonica is in fact linked to seaside areas by its history and properties, with a special liking for the islands: Elba Island, Giglio Island, Sardinia and, especially, Sicily, where it’s known as inzolia, one of the most typical stars of the local wine-making culture.

It is a tradition that is promoted with encouraging results by a growing number of small-scale producers along the Argentario coast.
The real gem is offered by Giglio Island, one of the most colourful expressions of the so-called heroic vineyard cultivation, which sees man hard at work to rob Mother Nature of strips of land that can be cultivated.

The rows of ansonaco, as the grape is called locally, stand on small terraces with a sheer drop down to the sea, still dotted with curious stone wall buildings, the palmenti, built by the islanders between the sixteenth and seventeenth century and intended for grape pressing, which took place on site due to transport problems.
In addition to Giglio and the Argentario, production also involves part of the
Capalbio, Manciano and Orbetello areas.

There has been a guideline in place since 1995, which, having recognised the history and uniqueness of the wine and vine, established the DOC Ansonica Costa dell’Argentario, enforcing the use of no less than 80% of Ansonica grapes in production.

It goes wonderfully with the coastal tradition of this corner of the Maremma; a crisp wine with delicate aromas that recall flowers and citrus fruit, with a light body, it is perfect with fish throughout the meal. However, elaborate recipes are best avoided. The version produced on Giglio is more structured, given the hot, sunny climate, providing us with more robust wines with a higher alcohol content.

Fior d’Ansonica” Ansonica Costa dell’Argentario Doc
Cantina Capalbio (Capalbio, GR)
Vino Ansonaco Isola del Giglio

Azienda agricola Altura (Giglio Island, GR)

Marco Ghelfi