8 destinazioni alla scoperta del tartufo

8 destinazioni alla scoperta del tartufo

Un giro d’Italia da nord a sud e ritorno al sapor di tartufo. Quattro mete diverse fra loro per storia e cultura ma quattro mete per assaporarlo, conoscerne tutti segreti, stanarlo con il cane e imparare a cucinarlo.
In autunno e in inverno le tavole si inebriano del profumo del tartufo che dai boschi diventa il re di piatti deliziosi proviamo a conoscerlo meglio.


Umbria: alla scoperta del nero fra dicembre e gennaio

In Umbria l’inverno è il momento ideale per degustare il pregiato tartufo nero umbro che si raccoglie proprio tra dicembre e gennaio.
Un’ esperienza da scoprire in un percorso lento tra natura, storia e arte.
Vengono organizzate speciali cacce al tartufo con il cavatore e il suo fidato cane nei dintorni di Gubbio, Norcia e Città di Castello.


Molise: il bianco e il nero di Castel del Giudice

Castel del Giudice (Isernia) in Molise, circondato dai boschi dell’Appennino molisano-abruzzese noto per la produzione delle mele , è il luogo in cui il tartufo diventa emozione.
Un rituale affascinante: partire insieme al tartufaio Antonio e la cagnolina Kelly, imbattibile con il suo fiuto sopraffino, per una giornata nell’azienda agricola Le Tartufaie e un tour alla scoperta delle varianti nere e bianco del prezioso tubero, l’ambiente in cui nasce e si sviluppa, la cavatura e tante curiosità sul diamante della terra.


In Alta Valle Isarco

in Alta Valle Isarco, tornano dal 17 novembre al 7 dicembre 2023 le Settimane del Tartufo, con gli esclusivi piatti firmati dallo chef 2 Stelle Michelin Peter Girtler.
Menu esclusivo a base di 5 specialità al tartufo nell’antica Gasthofstube.

Piemonte: la capitale del tartufo

Il Piemonte è rinomato per il tartufo bianco, in particolare nella zona delle Langhe e del Monferrato. Puoi partecipare a tour di caccia al tartufo con esperti locali e i loro cani addestrati. Alcuni luoghi noti per i tour di tartufo nel Piemonte includono Alba e Asti.
Se l’evento più famoso è ovviamente, la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba giunta ormai alla sua 93esima edizione che ha il suo clou nel Mercato Mondiale del tartufo, non mancano eventi diffusi specie nel territorio del Monferrato e dell’alessandrino dove si contano oltre dieci eventi dedicati.


Toscana; da San Miniato, a San Giovanni d’Asso e Volterra

La Toscana è un’altra regione famosa per i tartufi, in particolare il tartufo nero. Città come San Miniato e Volterra offrono tour di tartufo, che spesso includono la caccia al tartufo e degustazioni di piatti a base di tartufo.
San Miniato, a metà strada fra Firenze e Pisa che ospita la Fiera del Tartufo è una delle capitali nazionali. Leggenda narra che i tartufi più belli venduti alla fiera mondiale di Alba siano in realtà di San Miniato…
Ma torniamo nel borgo per darvi appuntamento nei fine settimana 11-12 / 18-19 / 25-26 novembre 2023 quando il
centro città ospiterà laboratori, banchi di degustazione e vendita del pregiato prodotto.


Marche: non solo Acqualagna

Le Marche sono un’altra regione italiana rinomata per il tartufo nero. Acqualagna è una delle città più famose per il tartufo nelle Marche e offre tour e festival del tartufo.
Se la fiera nazionale di Acqualagna quest’anno per colpa del caldo e la mancanza del fungo ipogeo è stata un po’ sottotono altre sono le occasioni per la scoperta del tartufo marchigiano.
Un’ottimameta è senz’altro la regione del Montefeltro e più nell specifico il borgo di Montefabbri provincia di Pesaro Urbino. Un paese che sembra essersi cristallizzato al 1400 dove funghi e tartufi sono di casa.


Abruzzo: neri, prelibato e poco noto

L’Abruzzo è famoso per il tartufo nero prelibato. Puoi partecipare a tour di tartufo a Rocca Calascio e nelle aree circostanti.
L’evento simbolo del tartufo d’Abruzzo è però la Fiera Internazionale dei tartufi d’Abruzzo che s
i terrà dall’1 al 3 dicembre 2023 all’Aquila, presso il Parco del Castello Cinquecentesco.

Puglia: il pregiato nero di Fasano

Anche la Puglia produce tartufi prelibati, in particolare il tartufo nero. Puoi trovare tour di tartufo nella città di Fasano e nelle aree circostanti.

“Generazione vigneti”. Un progetto che cresce in tutta Italia

“Generazione vigneti”. Un progetto che cresce in tutta Italia

di Barbara Tedde – La quinta generazione di una famiglia storica toscana che porta il vino sulle tavole ormai da più di un secolo non è certo l’argomento più originale del mondo, ma di fatto è una vicenda che determina la storia enologica italiana, quella delle grandi famiglie che hanno la fortuna di avere sempre una prole che ripercorra le orme dei padri o delle madri accarezzando idee innovative, pur mantenendo la tradizione.
Un continuo passaggio di Testimone che Eduardo De Filippo, in riferimento alla nascita dei figli, avrebbe definito con: E adesso “nun moro cchiù”.

Una grande storia di famiglia

Il gruppo Piccini 1882 nasce con Angiolo Piccini in soli sette ettari di vigneti in quel di Valiano a Castelnuovo Berardenga, versante meridionale della zona del Chianti Classico ed undicesima UGA a fianco di Vagliagli.
Per chi non masticasse ancora bene il Chianti Classico, le UGA sono le Unità Geografiche Aggiuntive che dall’anno scorso sono entrate in scena per suddividere il territorio del Gallo Nero in varie sottozone.
Ad oggi la fattoria di Valiano, la casa di famiglia, si stende su 230 ettari di terreno dei quali 75 coltivati a vigneti.
Negli anni Sessanta la fattoria fu proprietà del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e nel 1995 Mario Piccini ne acquisisce la proprietà con in tasca il sogno di produrre vini destinati a tutto il mondo: ad oggi sono 230 mila le bottiglie che escono dalla cantina di Valiano, cantina inserita nel progetto Generazione Vigneti, ed il suo Chianti Classico Valiano 2020 porta a casa un tre bicchieri nella guida del Gambero Rosso 2023.

Michelangelo Piccini

Quando i Piccini crescono

“Generazione Vigneti” nasce nel 2023; una ventata di freschezza e di rinnovo con l’ambizioso progetto del gruppo Piccini 1882, che segna un passaggio di consegne significativo all’interno dell’azienda, con il pieno coinvolgimento dei tre figli di Mario Piccini, patron del gruppo: Michelangelo Piccini al timone delle tenute toscane di Fattoria di Valiano e Tenuta Moraia, insieme alle sorelle, Benedetta e Ginevra Piccini, a capo della tenuta siciliana di Torre Mora, alle pendici dell’Etna.
Una quinta generazione che persegue l’obiettivo di raccontare e valorizzare i terroir più preziosi del mondo del vino italiano.
La filosofia produttiva che ispira il lavoro in tutte le cinque tenute dell’azienda è quella di creare vini che riflettano il territorio d’origine rispettando l’espressività delle uve attraverso pratiche enologiche non invasive. In ogni tenuta lo scopo enologico è diverso e al contempo uguale, ovvero produrre vini identitari e di qualità, abbattendo così elementi pregiudizievoli da parte del consumatore che, sovente, associa l’etichetta Piccini alla grande distribuzione.

Ginevra Piccini

Il teorema del cinque

Del progetto “Generazione vigneti”, seguito dalla quinta generazione Piccini fanno parte cinque aziende.
Il “teorema del cinque” coinvolge oltre alla Fattoria di Valiano, le seguenti aziende: Tenuta Moraia che si trova in Maremma, a pochi chilometri da Gavorrano,160 ettari totali dei quali 60 vitati e coltivati prevalentemente a Vermentino e Sangiovese, oltre che Alicante, Syrah, Cabernet, Merlot e Chardonnay; Villa al Cortile, posta nel versante sud di Montalcino, si stende su 12 ettari di terreno, suddivisi in due aree distinte: 8 ettari situati a Montorsoli, la parte nord di Montalcino, e 4 ettari situati a Lavacchio, sulle pendici sud-occidentali
di Montalcino; Regio Cantina, situata alle falde del Monte Vulture – vulcano ormai spento – che si trova in Basilicata, precisamente a Venosa, in provincia di Potenza, dove sono coltivati 15 ettari di Aglianico per un totale di produzione di 70.000 bottiglie all’anno; infine, Torre Mora, ai piedi dell’Etna: tre vigneti situati rispettivamente nella Contrada Dafara Galluzzo a Rovittello, nella Contrada Alboretto – Chiuse del Signore nel comune di Linguaglossa e nella Contrada Moscamento, sempre a Rovittello. I vigneti, iscritti fra i beni Unesco, sono di: Nerello Mascalese, vitigno principe delle pendici del vulcano, Nerello Cappuccio che ne completa l’uvaggio nella produzione di Etna Doc, e il Carricante.

Benedetta Piccini

Gli assaggi

Vermentino Brut Tenuta Moraia – Maremma Toscana
Un metodo Charmat per niente scontato nella sua semplicità: profuma di frutti gialli come la pesca e la susina, è dolce l’olfatto ed il gusto è agrumato e sapido.

Ottimo per aperitivi e piatti di pesce; ha in sé la spensieratezza dell’estate con i suoi 12 gradi alcolici.

Tenuta Moraia – Albus maremma toscana bianco 2021 Riserva da uve vermentino
Chi dice Maremma dice vermentino, vitigno principe di una splendida terra. 13,5% gradi alcolici e non sentirli.
Gradevoli profumi agrumati, pesca bianca, erbe aromatiche e discreta sapidità, tutte caratteristiche tipiche del vitigno. E’ avvolgente ed equilibrato e mantiene una bella vibrazione acida anche post sorso.

Tenuta Moraia – Apricaia 2019
Da uve Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, ed ecco che compare il taglio bordolese.

Elegante e pregiato fin da subito, confettura ai frutti di bosco, arancia in scorza, balsamicità da eucalipto ed elicriso. Buona la struttura in bocca, ricco e morbido in entrata, avvolgente ma non altezzoso, ottimo l’equilibrio di tannino e acidità. Bello ed elegante.

Della Fattoria di Valiano a Castelnuovo Berardenga: Vigna San Lazzaro Gran Selezione 2019 – Chianti Classico
Sangiovese in purezza da uve di un Cru. Profumi di ciliegia e marasca, sottobosco e pepe nero. Il sorso è complesso e ricco, lievemente ferroso e con tannini grintosi, frutti croccanti e rimandi boisé. Intrigante.

Torre Mora Metodo Classico Etna Rosé DOC 2018 – dosaggio zero
Stella nascente al Vinitaly 2023, dove ha fatto già strage di cuori. Appena 3 mila bottiglie prodotte, questo nerello mascalese in purezza da vendemmia 2018 sosta 48 mesi sui lieviti.

Un sorso che racchiude tutto il fascino della Sicilia da bere, quella dei salotti eleganti. Il colore accattivante rosa ramato, il profumo minerale e di pane fresco, rosa canina e fragolina affascinano fin da subito. Il gusto è vibrante e sapido, la bollicina è cremosa e solletica la beva. Il vulcano ed il mare che si congiungono creano un quadro dai tratti perfetti. Gustoso, energico ed elegante.

Torre Mora Scalunera – Etna Rosato 2022
Nerello mascalese in purezza, racchiude fragranti note di melograno e fragolina.

Il sorso è saporito e croccante ed il suo colore salmone affascina la vista. Ottimo compagno di viaggi enogastronomici sia di terra – carni bianche cotte in aromi, salumi, formaggi mediamente stagionati – che di mare. Goloso.

Alla scoperta della grappa 4.0

Alla scoperta della grappa 4.0

La grappa è da bevitore povero (magari anche anziano e malmesso) da circolo di periferia e la falsa bibita colorata è invece figa perché sostenuta da multinazionali. Questa la leggenda metropolitana.
La grappa 4.0 è altro.
Abbiamo assistito alcuni tempi fa ad un fidanzamento fra la cucina italiana di livello e la grappa trentina.
Se il matrimonio si farà, culinariamente parlando, è presto per dirlo. Personalmente non trovo niente di strano o inedito a cucinare con la grappa.
E’ pratica tradizionale di alcune zone alpine del Triveneto da sempre. Ma agli occhi di giovani colleghi e critici gastronomici, è parso questo l’argomento stesso di discussione di una serata insolita più che cercare di conoscere a fondo il mondo complesso delle vinacce e il duro lavoro del distillatore.


Quando il distillato si fa mixology

Le stesse disquisizioni sul cucinar grappando forse non sarebbero nemmeno sorte se il distillato in questione fosse stato uno più modiaiolo.
Penso ad un rum, per esempio, oggi sdoganato ai Millennians dai bartender che lo rendono protagonista di miscelazioni di cui a volte neanche si sentirebbe il bisogno.

Ma il rum o ron oggi è considerato un prodotto da scoprire, così come lo è da sempre un buon whisky e un buon cognac. Sono distillati da meditazione.


La grappa dei Millenials

Fra una portata e l’altra della nostra cena, la grappa da bere aveva lo stesso destino che ha nei concorsi internazionali. L’indifferenza.
Si disquisiva se quella diluita nel piatto aveva più o meno un buon legame con un certo ingrediente, se l’acidità e la dolcezza erano giuste, se il contrasto era equilibrato. Ma perché?

Forse quando si accompagna un sangiovese a un cinghiale o a un ragù si parla se il vino cucinato con la carne è perfetto o perfettibile?
No. Il vino ha identità di soggetto; il rum e altri distillati internazionali pure. La grappa è un oggetto. Di accompagnamento.


Bruno Pilzer un uomo senza vinacce sulla lingua

Sarà perché la grappa corre da tradizione nelle mie vene un po’ mitteleuropee. Sarà perché mi sono trovata a cercare di dare risposte a queste domande con Bruno Pilzer. Uomo senza peli ma con vinacce sulla lingua, attualmente alla guida dell’Istituto di Tutela della Grappa Trentina, ma alcune cose mi sono chiare.
In Italia il mondo della grappa è massacrato da una burocrazia ottusa (come già ci aveva detto in una lunga intervista la regina mondiale della distillazione Priscilla Occhipinti di grappe Nannoni).
All’estero è considerata alla stregua di una vinaccia imbevibile, magari a base di sorbo con sentore di calzino sudato d’estate.


Tipi di grappa

La grappa negli ultimi anni ci ha provato ad essere più ruffiana. Ha cercato di darsi una veste nuova nella versione ambrata da invecchiamento sulla scia del vino che è uscito dal disastro metanolo rifugiandosi nelle barriques.
Ma è quella la vera grappa?
La grappa autentica, e lo conferma il ritorno sul mercato in paesi consumatori come l’Austria, è quella bianca, quella più fresca e giovane.
E’ lì che senza trucco e inganno emerge se la qualità delle vinacce e della lavorazione sono buone. E lo sa bene chi ha avuto la fortuna di vivere, almeno per una visita, l’atmosfera della distillazione. I suoi profumi, i rumori delle caldaie, il lavoro frenetico e faticoso del momento topico in cui l’alchimia si manifesta.
C’è però chi preferisce l’ambrata perché più morbida e aromatica e appunto più modaiola. Non esiste la grappa perfetta. Esiste la grappa che a noi personalmente piace di più.


Grappa e marketing

Bruno Pilzer pare quasi rassegnato quando racconta che la grappa non è compresa da nessuno e che anche ai concorsi internazionali il solo fatto di essere “grappa” porta in se penalità anche in presenza di altissima qualità.
Ma cercando di darsi delle risposte siamo certi che è necessario spezzare la logica che il buon marketing nell’epoca della globalizzazione conti più del buon prodotto.
Alcune bevande, imbevibili di chimica e colore, proposte ai nostri giovani per sbornie a basso costo ad esempio sono assistite da massicce campagne di comunicazione che le fanno sembrare necessarie. Di contrasto, grandi prodotti come la grappa tradizionale trentina e italiana, che non ha alle spalle grandi agenzie ma “solo” il lavoro tramandato da secoli di fatica e passione per creare un’alchimia perfetta di profumi e sapori, sono considerate chip.
La grappa è da bevitore povero (magari anche anziano e malmesso) da circolo di periferia e la falsa bibita colorata è invece figa perché sostenuta da multinazionali.
Dovremmo uscire da questo circolo vizioso di controlla-cervelli e provare a vedere coi nostri occhi, sentire con le nostre orecchie e degustare con il nostro naso e la nostra bocca.
E noi che ci occupiamo di agroalimentare dovremmo informare correttamente, raccontare, fare conoscere personaggi come Bruno.

Non deve servire per estremizzare, cambiare nome e immagine a un prodotto per renderlo cool. Se un quadro è una crosta anche con ottima cornice crosta rimane.

Noi continueremo a festeggiare  con un momento di meditazione. Con una buona trentina o una buona friulana, profumate di vinacce che portano in se il cuore vivo della tradizione e della cultura italiana. Così come nel vino, nella grappa.
La speranza e che cominciate a farlo anche voi…

Verso la vendemmia 2023, le previsioni sull’annata da nord a sud

Verso la vendemmia 2023, le previsioni sull’annata da nord a sud

Ecco una fotografia della difficile vendemmia italiana 2023 tra focolai di peronospora e maltempo. Viaggio nel vino che verrà attraverso cinque importanti realtà enoiche italiane da nord a sud.
Il quadro che ne emerge è quello di una vendemmia non semplice, ma sicuramente di buona qualità. L’esperienza di cantine che sanno ottenere il meglio da un’annata non certo rose e fiori, in balia di eventi atmosferici e agenti patogeni.   

Vigneti in Valle Isarco

Alto Adige: cantina Valle Isarco e la vendemmia eroica

In Valle Isarco, in Alto Adige, il 2022 era stato un anno molto caldo e questo aveva fatto anticipare la vendemmia. Per il 2023 invece le previsioni sono da impugnare tronchetto e ceste in una data di inizio più usuale per Cantina Valle Isarco, ossia a metà settembre.
Nei 150 ettari della cantina sociale più giovane dell’Alto Adige, dislocati in piena area montuosa, la prima varietà a essere vendemmiata sarà il Müller Thurgau per poi proseguire dalle zone più basse, che partono dai 500 metri di Chiusa, dove le temperature sono più calde, per toccare poi quota 1000 metri di altitudine.
“La primavera quest’anno ha portato piogge eccessive in tutta Italia e l’Alto Adige non è stato risparmiato, ma i 135 soci della nostra cantina sono abituati a essere “eroi” – spiega il direttore generale Armin Gratl –. La vendemmia, che in questo territorio raggiunge una pendenza molto ripida e con stretti filari, costringe a una raccolta dei grappoli esclusivamente a mano e le forti piogge di maggio non hanno di certo spaventato la grande famiglia della Cantina Valle Isarco. Per combattere la pressione di peronospora siamo già abituati a interventi tempestivi e, seppur sia stata una primavera complicata, dove anche l’oidio si è fatto spazio con la forte umidità, per quest’anno è prevista addirittura una maggiore quantità di uva”. La speranza per le prossime settimane è che le piogge si regolino, ma in generale il particolare microclima dell’area, caratterizzato da calde giornate estive e rigide notti nel periodo della vendemmia, assicura ogni anno vini freschi, fruttati e ricchi di minerale contenuto

Vigneti in Trentino

Trentino: vendemmia al via verso fine agosto

“La grandine in Trentino in questa stagione 2023 ha fatto purtroppo diversi danni, fortunatamente i nostri vigneti sono in una posizione riparata e non hanno subito grossi danni. Inoltre, rispetto al 2022, le escursioni termiche tra il giorno e la notte sono state perfette: condizioni, si sa, ottimali per le basi spumante. Temperature più calde di giorno e più fresche la notte permettono una lenta maturazione, una buona concentrazione delle componenti aromatiche dell’uva e un miglior bilanciamento tra acidi e zuccheri. In generale le condizioni meteo sono state migliori rispetto allo scorso anno in quanto nei mesi di maggio e giugno la pioggia ha preso il posto della siccità e ha cambiato lo scenario in meglio”, racconta Alessandra Stelzer, figlia dei fondatori e oggi amministratrice, con la sorella Maddalena, di Maso Martis. Sono queste le premesse che fanno pensare a Maso Martis a una buona vendemmia per quest’anno, con un raccolto superiore rispetto al 2022 sia in termini di quantità sia di qualità dovuto proprio alle condizioni meteorologiche a favore.
Difficile però è stata la gestione del vigneto in seguito alla diffusione di malattie come la peronospora e l’oidio, generalmente in contrasto tra loro.Le precipitazioni hanno permesso alla peronospora di proliferare e l’arrivo di umidità e del caldo del mese di luglio hanno contribuito all’insorgere dell’oidio. Ma gli interventi agronomici sono stati tempestivi e hanno fatto sì che le malattie siano state controllate in maniera più che soddisfacente. Le viti sono state prontamente trattate con rame e zolfo, e si è proceduto con una sfogliatura mirata per arieggiare i grappoli”, spiega Stelzer. Ricordiamo che Maso Martis opera in regime biologico dal 2013.
La vendemmia quest’anno è prevista verso fine agosto, intorno al 25, quasi 10 giorni dopo rispetto all’anno precedente, proprio perché la maturazione delle uve è stata più progressiva. È ancora presto per anticipare le caratteristiche che avranno le nuove annate, ma se il caldo non sarà eccessivo si potranno avere buoni aromi e profumi. 

Vendemmia In Maremma

Maremma: da annate complicate nascono vini buonissimi

La stagione nell’Alta Maremma Toscana è stata caratterizzata dagli eventi atmosferici che hanno coinvolto purtroppo tutta Italia, ovvero le forti piogge di maggio e il caldo umido, che hanno portato a ingenti pressioni di peronospora.
Quella di Biserno, con le sue tre tenute è un’annata che andrà interpretata bene, con una produzione leggermente inferiore ma senza cali significativi. “Adesso speriamo che la stagione estiva continui con caldo e sole per raggiungere buoni livelli qualitativi”.
A fare il quadro della situazione è Niccoló Marzichi Lenzi, amministratore delegato della boutique winery dei fratelli Antinori dislocata a Bibbona, a due passi da Bolgheri.
La raccolta sarà comunque stabile in funzione delle analisi chimiche e gustative che verranno effettuate sulle uve al fine di raccogliere sempre al meglio delle condizioni che si presenteranno. La situazione delle uve è costantemente monitorata e Biserno è riuscito a contenere gli attacchi di funghi e insetti come la tignola. La situazione sanitaria oggi è buona e l’ambiente è sano.
“L’annata 2023 potrebbe per certi aspetti ricordare la 2018 per quanto riguarda la presenza di peronospora, e quell’annata ha prodotto vini fini ed eleganti nonostante le difficoltà. Ricordiamo l’annata 2010 per la vendemmia complicata, ma a volte da annate difficili nascono vini buonissimi”, osserva Marzichi Lenzi.
Le prime varietà a essere vendemmiate a settembre saranno il Merlot, che necessita di più freschezza ed è anche il più precoce, a seguire Syrah, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e per ultimo il Petit Verdot. Rimane l’attesa di scoprire quali aromi si celeranno nella magia di questa vendemmia. 

Vendemmia in Umbria

Umbria: buona annata, ma grandi perdite in vigneto

Marco Caprai non ha dubbi: la vendemmia 2023 ricorda molto quella del 2013. Almeno fino a ora perché, si sa, con il meteo non c’è mai nulla di certo.
“Se le condizioni climatiche saranno, come sembra, normali, con un anticiclone che rinfrescherà questo agosto, ci aspettiamo un raccolto di buona qualità e una vendemmia leggermente più tardiva, che dovrebbe iniziare, almeno per noi, nella seconda metà di settembre. Attualmente, le vigne stanno ancora vegetando come fossero a maggio-giugno”, fa sapere Marco Caprai, alla guida della cantina simbolo del Sagrantino di Montefalco.
Ma proprio questa varietà è una delle più colpite dalla peronospora.Le perdite dovute a questa malattia, che non si presentava più da alcuni anni, sono state ingenti – prosegue Caprai -. Se a questo aggiungiamo la gelata primaverile avremo sicuramente un raccolto inferiore per qualche vigneto anche del 40%, in particolare per alcune varietà molto sensibili a certe tipologie di malattie come il Sagrantino”.
Una vendemmia, insomma, “che ci mette di fronte al fatto che dobbiamo puntare ancora di più sulla ricerca per aiutare alcune varietà a essere più resistenti alle condizioni climatiche avverse che si presentano in stagioni difficili come questa”.  

Vendemmia in Calabria

Calabria: stagione difficile, ma si raccoglierà uve di buona qualità

In base alle attuali previsioni, la vendemmia in Calabria sarà posticipata di una decina di giorni rispetto al 2022, anno che aveva visto schizzare le temperature accelerando la maturazione delle uve.
La produzione dei vini calabresi quest’anno stima una forte evidenza, anche del 40%, conseguenza delle abbondanti piogge cadute nel mese di maggio. Come in tutta Italia, in questo 2023 si è dovuto combattere, a causa del maltempo, contro la peronospora, che non ha purtroppo risparmiato l’azienda certificata biologica Santa Venere.
Ma se la quantità verrà pesantemente intaccata non si potrà dire lo stesso per la qualità, che sarà quasi superiore rispetto all’anno precedente, vista la concentrazione di tutte le sostanze su una minore quantità di grappoli. Le temperature in Calabria nelle ultime settimane sono state alte e in alcuni appezzamenti si è dovuto ricorrere all’irrigazione di soccorso, ma ad agosto si prevedeva temperature più basse. “Ci ​​attende una vendemmia non semplice, che ancora attende acqua, ma che contiamo essere, seppur in quantità ridotta, di buona qualità”, assicura Giuseppe Scala, alla guida di Santa Venere assieme al fratello Francesco. 

I piatti della tradizione toscana si trasformano in liquido e diventano gin

I piatti della tradizione toscana si trasformano in liquido e diventano gin

“Spirits e toscanità: debuttano i gin ispirati a ribollita, panzanella, pappa al pomodoro e cantucci con vinsanto” questo l’annuncio che ho ricevuto per essere invitata ad assaggiare una novità dell’estate.
E devo confessare che a quell’invito ho risposto con molta curiosità e altrettanto scetticismo. Il gin come sappiamo è “di tendenza” e quindi bisogna essere sempre pronti ad accogliere le novità.


Gin: dall’anonimato alla popolarità

Solo recentemente questa bevanda alcolica ottenuta dalla distillazione di alcool ed erbe botaniche tra cui il ginepro che le dona la nota caratteristica è uscito dalla sua comfort zone di “gregario”.
Presente in molti cocktail il gin solo recentemente ha sperimentato un aumento di popolarità grazie alla nascita di molte distillerie artigianali che hanno immesso sul mercato gin di alta qualità e caratterizzazioni uniche con botaniche fresche e locali che hanno permesso la rivisitazione dei grandi cocktail come il gin and tonic e il martini.
Nuove tendenze, nuovi gusti, nuovi stili e nuovi accostamenti che talvolta, come in questo caso, parevano davvero estremi.


Tre cugini, una passione e un po’ di follia

Il progetto “Dal piatto al bicchiere” nasce dall’idea (un po’ folle sulla carta) di tre cugini aretini di trasformare i piatti tipici regionali in forma liquida per trasformarli in gin dal sapore unico.
Stefano Del Pianta, Leonardo Del Mecio e Tommaso Picchioni sono un medico, un bancario e uno “sperimentatore” con la passione per il mondo della distillazione e le tradizioni della loro famiglia contadina cresciuta fra le piante di tabacco e l’aria umida della vecchia palude della Valdichiana che osano, peraltro nella regione in cui si raccoglie il ginepro di alta qualità base di almeno la metà del gin premium mondiali, debuttare con una collezione di bottiglie che si prefiggono di portare nei bicchieri i profumi e i sapori che più raccontano la Toscana.


Pappa al pomodoro, ribollita, panzanella e cantucci e vin santo nel bicchiere

C’è il “Panmòllo 1912”, un cold compound ispirato alla pappa al pomodoro e realizzato a partire da una singola macerazione a freddo di tutti gli ingredienti (inclusi pane artigianale toscano gluten-free, pomodoro, carote, sedano, aglio, basilico, foglie d’ulivo e pepe nero) ad eccezione dell’acqua di mare che dona la giusta sapidità presente nella ricetta originale del piatto.
Oppure il “Ribolgin” che richiama la ribollita, la tradizionale zuppa invernale a base di
bietole, sedano, fagioli cannellini, foglie d’ulivo, cipolla, aglio, salvia, rosmarino, pepe nero e timo. Anche qui, la sapidità è data da una parte di acqua marina. Discorso simile per il “Panzagin” ispirato a un piatto fresco e vegetariano come la panzanella, in cui sono presenti gli ingredienti caratteristici, dal pane al pomodoro, dal basilico al cetriolo fino alla cipolla.
Sul
fronte del fine pasto, invece, ecco il “Ginsanto e cantucci”, un Old Tom che rimanda al dolce tipico di cantucci e vinsanto: qui le note dolci del miele artigianale contrastano con la sapidità dell’acqua di mare, mentre il bouquet è formato da cantucci artigianali gluten free, mandorle, vaniglia, uva sultanina, scorza d’arancia, albicocca secca, fiori di zagara e vinsanto.
E non è tutto: la toscanità alla base del progetto “Dal piatto al bicchiere” si ritrova anche nei due premiscelati di vermouth e bitter, utili sia da assaggiare in purezza che per provare un Negroni tutto toscano. Si tratta del liquore “Due terzi rosso”, una combinazione di vermouth emiliano affinato in legno e bitter rosso dove note erbacee e amaricanti si fondono per regalare al palato un sapore intenso, e del “Due terzi bianco” (vermouth e bitter bianco) in cui invece prevalgono note fruttate ed erbacee.


La prova d’assaggio

“Abbiamo scelto di creare questa linea perché siamo da sempre appassionati di spiritsspiegano i tre – e veniamo da famiglie in cui la cucina e la cura della terra hanno sempre avuto un ruolo importante. Abbiamo immaginato come i piatti della tradizione toscana, protagonisti di tanti pranzi domenicali in famiglia potessero trasformarsi in forma liquida, raccontando i ricordi di nonno Nelusco, che ha fatto del miele e dell’olio Evo una passione, di nonna Alfa e Lisa che ci hanno insegnato che la cucina è prima di tutto un atto di amore”.
Mi sono accostata a queste quattro diverse versioni di gin alla toscana come ho detto all’inizio con molta curiosità e altrettanto scetticismo. Il convivio era allegro e tutti avevano in mano bellissimo cocktail preparati con sapienza da un ottimo barman ma…
Una buona degustazione professionale, anche se la temperatura fuori sfiorava il 40 gradi m’imponeva di fare bene il mio mestiere e alla gentile proposta di un fresco cocktail ho detto di no optando per una degustazione come si deve: liscia.
E qui la sorpresa. Equilibrio, eleganza, corrispondenza e delicatezza. Ogni variante: pappa al pomodoro, ribollita, panzanella e cantucci e vinsato sono stati momenti di grande soddisfazione per il palato.
Il pomodoro, il basilico, i cannellini, la cipolla, etc.. ingredienti a ben pensarci difficili da dosare sono usciti fuori tutti con la loro nota caratteristica non coprendosi e non comprendo le caratteristiche del gin.
Un’allegra sinfonia che in bocca gioca con le papille gustative, sorprendendole e stuzzicandole. E poi quel comune denominatore di eleganza e raffinatezza dove la parte alcolica viene quasi “intrappolata” per essere domata al meglio dalle note caratteristiche.
Banale sottolineare che con “liscio” così la versione cocktail sia l’esaltazione per gli appassionati del gin che vogliono stuzzicarsi con qualcosa di esclusivo.
Stefano, Leonardo e Tommaso sono tre cugini molto simpatici e un po’ folli, ma è la follia e il coraggio di osare che porta lontano. E sono certa che i loro gin ne faranno di strada fermandosi anche in qualche cucina importante.