1 Luglio 2018

Un salto a tavola, nel buio

[:it]Metti un gin artigianale più unico e raro, un bel casolare della campagna toscana con una micro distilleria, una serata estiva malandrina con l’orizzonte che promette pioggia e sei giornalisti ingannati a tavola.
Cronaca di una serata speciale voluta e sceneggiata da Podere Castellare con Kitchen Wishes e la complicità di una giornalista che, beffardamente ha ingannato altri colleghi.

Una cena speciale ad occhi chiusi per immergersi in altra dimensione.
Una dimensione dove, escludendo la vista, si sviluppano ed esaltano gli altri quattro sensi.
Sensazioni tattili, uditive, odorose e soprattutto emozionali che hanno trasportato dei professionisti abituati a lavorare con la vista alla totale oscurità per oltre due ore.

Tutto inizia sulla splendida aia terrazzata di questo eco resort  incastonato sul crinale che risalendo dalla vallata dell’Arno già profuma di foresta in direzione Consuma e Casentino.
La regia è perfetta e gli attori protagonisti della serata dopo il ciack e un girotondo giocoso e allo stesso tempo propiziatorio come in un rito pagano, bendano gli ospiti. Giornalisti compresi.

Quasi uno schock, ma la sfida è intrigante. Stare in silenzio e cercare di raccontare ad occhi chiusi.

Sento subito i sospiri di paura di alcuni, le mani insicure che cercano la spalle del vicino per trovare sicurezza, l’alito di vento che profuma di pioggia che si insinua fra bende e capelli, i chiacchiericci forzosi per darsi coraggio e le scuse incredibili per sbendarsi.

Ma stare al gioco è la scelta migliore, sapendo bene che una cena al buio è davvero impegnativa.
Cerchiamo di tacere.
Avverto l’ampiezza degli spazi subito sopra le mie spalle come se si aprisse la campagna portandosi con se quel venticello che promette pioggia, profumi di cipresso, di lavanda e di paglia.
I rumori sono quelli del tramonto quando la nostra “guida” sbendata prende (immagino) per mano il primo componente del nostro impacciato trenino. Ma i rumori del tramonto sono un invenzione della mia mente che mescola odori, sensazioni di calore e suggestioni oniriche.
Saliamo e scendiamo per terreni instabili e di pendenze diverse. Sotto i piedi ora pietra, ora sasso, ora brecciolino e poi scalini.
Si fa presto a dire scalini ma quanti e poi. In alto o in basso. Davvero complicato anche solo fare due passi bendati seppur guidati.

Mentre sono immersa nel mio pensiero mi ritrovo fra le mani un cucchiaino dall’odore intenso di ceci e la consistenza di una mousse. Intuisco sia humus di ceci mentre in bocca mi si avvicina anche una sottile e croccante porzione di pane Carasau e nell’altra un bicchierino profumato e fresco: è il gin di casa Peter of Florence facile intuirlo, meno lo è scovare nell’aromatizzazione il miele che smorza l’intensità dell’ananas.
Poi si riparte, si gira, si scende si sale e continuando a fidarci solo dal compagno di ventura avanti a noi che avverte “spigolo a destra, spostati a sinistra” fino a che dopo qualche urto e livido ci troviamo al tavolo e sediamo.
Il silenzio avvolge la sala. Doveroso per cogliere sensazioni. Leggere folate di vento indicano il passaggio di qualcuno e il leggero rumore di qualche suono sconosciuto amplificato dall’oscurità sembra chissà cosa.

La scena principale parte.
Azzardo allungare le mani davanti a me e intuisco un sottopiatto naturale di foglie essiccate, lo alzo lo porto al naso scoprendo che, animalascamente, in certe situazioni il naso è il compagno più fidato e non avverto odori particolari. Poi le mie mani si allargano oltre il piatto a destra e sinistra per scovare se nell’apparechiatura è previsto il bicchiere. Urto le spalle del compagno sconosciuto alla mia sinistra e ci salutiamo mentre il suo sorriso lo avverto a pochi centimetri dal mio braccio; a destra trovo il braccio e le mani della collega fidata compagna di tante avventure e ci rassicuriamo a vicenda. Trovo la base e il gambo di un flute, lo faccio ondeggiare per intuirne il peso e capisco che dentro c’è del vino. La stessa scoperta la facciamo più o meno tutti nello stesso monento al mio tavolo ed azzardiamo un brindisi.
Ridiamo per sdrammatizzare senza avvertire schizzi. Forse non ci siamo neanche macchiati, ma certamente portare lindi al dessert gli abiti non sarà facile.

Tanti odori compaiono e scompaiono vicino alle nostre narici. Un marchio di fabbrica della casa dato che il gin di casa è un enciclopedia di essenze anche strane e poco praticate e la cena sarà tutta così. Conoscere, riconoscere e perchè no scoprire il bergamotto, il coriandolo, la rosa canina, i grani del paradiso, il ginepro, l’iris, l’angelica, la lavanda, le mandorle amare e il carcamono.
Iniziamo con una mousse di ricotta fresca dove dentro sentiamo qualcosa di forte e boscoso. E’ ginepro azzarda qualcuno, indovinandoci.

I protagonisti avverto che girano fra i nostri tavoli toccandoci, sfiorandoci, massaggiandoci e annusandoci con leggiadria. Ora sotto il naso un odore, ora sulle mani la carezza fatta con qualche foglia e poi la mano viene tuffata in un cesto pieno di pour to pourri dove sono tante bacche. Ne prendiamo alcune portandole al naso, ma il loro odore mi è sconosciuto. Sulla strada giusta mi porta la leggera bucatura di una piccola spina. E’ un bocciolo di rosa, lo sfoglio lo apro, cerco i semi al suo interno per schiacciarli coi denti ben sapendo che se sento una sensazione acida simile al limone sarà rosa canina e così è.
Un sapore pungente ma delicato che ritrovo subito nella zuppa tiepida e dolce di patate che assaggio. Difficilissimo però mangiare una zuppa, in una piccola ciotola con un cucchiaio al buio!

Passa il tempo ma lentamente. Fra una portata e l’altra il tempo si dilata. Solo una sensazione. Stare seduti a un tavolo senza vedere, senza sapere dove mettere le mani e possibilmente tacendo è davvero dura.
Un collega è lì vicino che sbuffa, sospira, si agita e poi sbotta. Lui non ce la fa, si alza e si sbenda…
Ma io resisto anche se l’invocazione al silenzio per vivere sensazioni e rumori impercettibili che chiedo alla sala si perde nelle chiacchiere da pizzeria di famiglia fra una discussione sull’asilo di Leonida e la scelta su quale delle due strade per le vacanze è più comodo percorrere.
Mi disturbano. Non stanno godendosi l’esperienza indimenticabile di una sera speciale e soprattutto con la loro caceria becera non permettono di viverla agli altri.
Poi arrivano nel piatto dei chicchi caldi e profumati di cipolla delicata. Ma anche qui sono certa si nasconde qualche spezia o erba che non riconosco…
E così si va avanti fra improvvisi brusii, aria calda vicino alle orecchie, foglie che ti accarezza ti toccano e ti avvolgano; cibi scoperti con le mani e il naso e sapori resi speciali dall’oscurità.

Una serata difficile da dimenticare splendidamente orchestrata dal cast perfetto di Kitchen Whishes. Non una cena ma un esperienza sensoriale ed emozionale vera nonostante Leonida e la statale.
Una cena speciale che insegna anche a noi che per mestiere usiamo molto la vista che è bello e incredibile pote raccontare anche solo con le emozioni percepite.
E se in esse c’era anche paura e disagio tanto meglio.

A cena finita e sbendatura avvenuta scoppiamo a ridere, ci guardiamo in faccia con il trucco colato e l”espressione del risveglio mattutino e ci guardiamo con occhi diversi.
Scopriamo il mondo accanto a noi, la sala, la faccia degli altri commensali, cerchiamo di intuire chi possa aver detto e cosa e chiediamo il menù completo nella certezza che almeno abbiamo beccato tutti i vini!

Abbiamo mangiato:
carasau croccante
hummus di ceci
drink al cocco e gin con miele
crostino con mousse di ricotta al ginepro
crema di patate con rosa canina al gin
orzotto con base cipolla e pecorino, spolverato di radice di iris
pane caldo alla lavanda con olio
uovo poché con spinaci in tre modi (crudi, saltati e in crema) e pane fritto al cardamomo
crumble al rosmarino e cucchiaino di gin
creme caramel alla cassia

 

foto: Luca Managlia[:en] 

Metti un gin artigianale più unico e raro, un bel casolare della campagna toscana con una micro distilleria, una serata estiva malandrina con l’orizzonte che promette pioggia e sei giornalisti ingannati a tavola.
Cronaca di una serata speciale voluta e sceneggiata da Podere Castellare con Kitchen Wishes e la complicità di una giornalista che, beffardamente ha ingannato altri colleghi.

Una cena speciale ad occhi chiusi per immergersi in altra dimensione.
Una dimensione dove, escludendo la vista, si sviluppano ed esaltano gli altri quattro sensi.
Sensazioni tattili, uditive, odorose e soprattutto emozionali che hanno trasportato dei professionisti abituati a lavorare con la vista alla totale oscurità per oltre due ore.

Tutto inizia sulla splendida aia terrazzata di questo eco resort  incastonato sul crinale che risalendo dalla vallata dell’Arno già profuma di foresta in direzione Consuma e Casentino.
La regia è perfetta e gli attori protagonisti della serata dopo il ciack e un girotondo giocoso e allo stesso tempo propiziatorio come in un rito pagano, bendano gli ospiti. Giornalisti compresi.

Quasi uno schock, ma la sfida è intrigante. Stare in silenzio e cercare di raccontare ad occhi chiusi.

Sento subito i sospiri di paura di alcuni, le mani insicure che cercano la spalle del vicino per trovare sicurezza, l’alito di vento che profuma di pioggia che si insinua fra bende e capelli, i chiacchiericci forzosi per darsi coraggio e le scuse incredibili per sbendarsi.

Ma stare al gioco è la scelta migliore, sapendo bene che una cena al buio è davvero impegnativa.
Cerchiamo di tacere.
Avverto l’ampiezza degli spazi subito sopra le mie spalle come se si aprisse la campagna portandosi con se quel venticello che promette pioggia, profumi di cipresso, di lavanda e di paglia.
I rumori sono quelli del tramonto quando la nostra “guida” sbendata prende (immagino) per mano il primo componente del nostro impacciato trenino. Ma i rumori del tramonto sono un invenzione della mia mente che mescola odori, sensazioni di calore e suggestioni oniriche.
Saliamo e scendiamo per terreni instabili e di pendenze diverse. Sotto i piedi ora pietra, ora sasso, ora brecciolino e poi scalini.
Si fa presto a dire scalini ma quanti e poi. In alto o in basso. Davvero complicato anche solo fare due passi bendati seppur guidati.

Mentre sono immersa nel mio pensiero mi ritrovo fra le mani un cucchiaino dall’odore intenso di ceci e la consistenza di una mousse. Intuisco sia humus di ceci mentre in bocca mi si avvicina anche una sottile e croccante porzione di pane Carasau e nell’altra un bicchierino profumato e fresco: è il gin di casa Peter of Florence facile intuirlo, meno lo è scovare nell’aromatizzazione il miele che smorza l’intensità dell’ananas.
Poi si riparte, si gira, si scende si sale e continuando a fidarci solo dal compagno di ventura avanti a noi che avverte “spigolo a destra, spostati a sinistra” fino a che dopo qualche urto e livido ci troviamo al tavolo e sediamo.
Il silenzio avvolge la sala. Doveroso per cogliere sensazioni. Leggere folate di vento indicano il passaggio di qualcuno e il leggero rumore di qualche suono sconosciuto amplificato dall’oscurità sembra chissà cosa.

La scena principale parte.
Azzardo allungare le mani davanti a me e intuisco un sottopiatto naturale di foglie essiccate, lo alzo lo porto al naso scoprendo che, animalascamente, in certe situazioni il naso è il compagno più fidato e non avverto odori particolari. Poi le mie mani si allargano oltre il piatto a destra e sinistra per scovare se nell’apparechiatura è previsto il bicchiere. Urto le spalle del compagno sconosciuto alla mia sinistra e ci salutiamo mentre il suo sorriso lo avverto a pochi centimetri dal mio braccio; a destra trovo il braccio e le mani della collega fidata compagna di tante avventure e ci rassicuriamo a vicenda. Trovo la base e il gambo di un flute, lo faccio ondeggiare per intuirne il peso e capisco che dentro c’è del vino. La stessa scoperta la facciamo più o meno tutti nello stesso monento al mio tavolo ed azzardiamo un brindisi.
Ridiamo per sdrammatizzare senza avvertire schizzi. Forse non ci siamo neanche macchiati, ma certamente portare lindi al dessert gli abiti non sarà facile.

Tanti odori compaiono e scompaiono vicino alle nostre narici. Un marchio di fabbrica della casa dato che il gin di casa è un enciclopedia di essenze anche strane e poco praticate e la cena sarà tutta così. Conoscere, riconoscere e perchè no scoprire il bergamotto, il coriandolo, la rosa canina, i grani del paradiso, il ginepro, l’iris, l’angelica, la lavanda, le mandorle amare e il carcamono.
Iniziamo con una mousse di ricotta fresca dove dentro sentiamo qualcosa di forte e boscoso. E’ ginepro azzarda qualcuno, indovinandoci.

I protagonisti avverto che girano fra i nostri tavoli toccandoci, sfiorandoci, massaggiandoci e annusandoci con leggiadria. Ora sotto il naso un odore, ora sulle mani la carezza fatta con qualche foglia e poi la mano viene tuffata in un cesto pieno di pour to pourri dove sono tante bacche. Ne prendiamo alcune portandole al naso, ma il loro odore mi è sconosciuto. Sulla strada giusta mi porta la leggera bucatura di una piccola spina. E’ un bocciolo di rosa, lo sfoglio lo apro, cerco i semi al suo interno per schiacciarli coi denti ben sapendo che se sento una sensazione acida simile al limone sarà rosa canina e così è.
Un sapore pungente ma delicato che ritrovo subito nella zuppa tiepida e dolce di patate che assaggio. Difficilissimo però mangiare una zuppa, in una piccola ciotola con un cucchiaio al buio!

Passa il tempo ma lentamente. Fra una portata e l’altra il tempo si dilata. Solo una sensazione. Stare seduti a un tavolo senza vedere, senza sapere dove mettere le mani e possibilmente tacendo è davvero dura.
Un collega è lì vicino che sbuffa, sospira, si agita e poi sbotta. Lui non ce la fa, si alza e si sbenda…
Ma io resisto anche se l’invocazione al silenzio per vivere sensazioni e rumori impercettibili che chiedo alla sala si perde nelle chiacchiere da pizzeria di famiglia fra una discussione sull’asilo di Leonida e la scelta su quale delle due strade per le vacanze è più comodo percorrere.
Mi disturbano. Non stanno godendosi l’esperienza indimenticabile di una sera speciale e soprattutto con la loro caceria becera non permettono di viverla agli altri.
Poi arrivano nel piatto dei chicchi caldi e profumati di cipolla delicata. Ma anche qui sono certa si nasconde qualche spezia o erba che non riconosco…
E così si va avanti fra improvvisi brusii, aria calda vicino alle orecchie, foglie che ti accarezza ti toccano e ti avvolgano; cibi scoperti con le mani e il naso e sapori resi speciali dall’oscurità.

Una serata difficile da dimenticare splendidamente orchestrata dal cast perfetto di Kitchen Whishes. Non una cena ma un esperienza sensoriale ed emozionale vera nonostante Leonida e la statale.
Una cena speciale che insegna anche a noi che per mestiere usiamo molto la vista che è bello e incredibile pote raccontare anche solo con le emozioni percepite.
E se in esse c’era anche paura e disagio tanto meglio.

A cena finita e sbendatura avvenuta scoppiamo a ridere, ci guardiamo in faccia con il trucco colato e l”espressione del risveglio mattutino e ci guardiamo con occhi diversi.
Scopriamo il mondo accanto a noi, la sala, la faccia degli altri commensali, cerchiamo di intuire chi possa aver detto e cosa e chiediamo il menù completo nella certezza che almeno abbiamo beccato tutti i vini!

Abbiamo mangiato:
carasau croccante
hummus di ceci
drink al cocco e gin con miele
crostino con mousse di ricotta al ginepro
crema di patate con rosa canina al gin
orzotto con base cipolla e pecorino, spolverato di radice di iris
pane caldo alla lavanda con olio
uovo poché con spinaci in tre modi (crudi, saltati e in crema) e pane fritto al cardamomo
crumble al rosmarino e cucchiaino di gin
creme caramel alla cassia

 

foto: Luca Managlia

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