Rufina, il Chianti che svolta

Rufina, il Chianti che svolta

Che di Chianti, inteso come generica denominazione Docg ne sono piene le guide e le enoteche è cosa nota da tempo; ahimè spesso disorientando il consumatore meno avvezzo a viaggiar per cantine.

Il Chianti Docg è sinonimo di Sangiovese e quindi di vino toscano per eccellenza ma si fa presto a dire Chianti.
Quale Chianti?
Chianti Colli Aretini, Chianti Colli Fiorentini, Chianti Colli Senesi, Chianti Colline Pisane, Chianti Montalbano, Chianti Montesppertoli e Chianti Rufina.
Praticamente, se si esclude la costa che con il suo salmastro si personalizza in vigna da Massa Carrara al sud di Grosseto, la Toscana è tutta Chianti e Sangiovese.

La nostra verve polemica ci porterebbe quindi a rispolverare (i tanti) articoli scritti sul tema in passato per far capire che oltre ai tanti bla bla bla poco è cambiato e poco si è smosso.
Del resto alle nostre latitudini la diatriba è antica come la nascita stessa del boom enoico e la polemica è nel Dna del toscano, ma chi scrive vuole evitare terreni scivolosi (ma anche noiosi!) di antiche polemiche campanilistiche preferendo evitare di addentrarsi nell’argomento nella certezza che negli ultimi anni, grazie alle nuove generazioni di vignaioli, qualcosa si muove alla ricerca dell’’identità confusa.
Eccome se si muovono i giovani che nei Consorzi sgomitano per portare le loro ventate di novità e leggerezza combattendo e vincendo le loro battaglie contro stereotipi polverosi.

In questa direzione va decisamente il Consorzio del Chianti Rufina, che mette la freccia e svolta grazie alle nuove generazioni.
Lo fa inventandosi il progetto Terraelectae che se è cacofonico nel nome non lo è decisamente nell’idea e nemmeno nel prodotto fin qui degustabile.

Un progetto di elevazione al quadrato (ma anche di più) da non confondersi con gran selezioni e similari.
Terraelectae è infatti, come si legge nella definizione ufficiale fornita dal Consorzio stesso, un progetto di vigna “collettiva” che riunisce al momento alcune fra le migliori cantine di zona.
La strada tracciata al raggiungimento dell’obiettivo per ogni azienda che aderisce al progetto (al momento 13 dei 20 produttori del Consorzio) è nell’individuare e selezionare fra i propri vigneti quello “eletto” ovvero quello che a suo giudizio fa esprimere al meglio le qualità territoriali del Sangiovese. Solo da quelle uve, che sono quindi le più pregiate aziendali, nascerà un Chianti Rufina Riserva cru così pregiato da potersi fregiarsi del titolo Terraelectae.

Uno dei Consorzi più piccoli, ma allo stesso più identitari fra quelli del Chianti (del cui nome a nostro avviso potrebbe anche benissimo fare senza per chiamarsi solo Rufina) cerca l’eccellenza vestendosi di territorialità alla massima potenza.

Una punta di diamante da esporre nelle migliori “gioiellerie” che vede in commercio al momento solo la prima annata disponibile, la 2018 prodotta da nove aziende che abbiamo degustato in esclusiva per voi.

Uno dopo l’altro hanno sfilato nei nostri bicchieri i Terraelectae di Castello del Trebbio, Colognole, Fattoria di Lavacchio, Frascole, Grignano, I Veroni, Marchesii Frescobaldi , Marchesi Gondi e Villa Travignoli. Dal prossimo anno potremo assaggiare anche i debuttanti Podere Il Pozzo, Fattoria Lago, Selvapiana e Tenuta Il Monte.

Senza entrare nel dettaglio delle singole degustazioni dato che il nettare è ancora giovane e in alcuni casi della gioventù ha l’esuberanza ancora viva ciò che possiamo affermare che la ricerca identitaria, quella che i francesi chiamano terroir c’è.
Emerge soprattutto, in queste selezioni d’elite più che mai quell’imprinting unico che la valle della Sieve, i terreni mediamente di alta collina e l’aria fresca dell’Appennino donano ai vini di Rufina.

Rufina è davvero fresca nelle idee delle nuove generazioni di vignaioli e guarda col sorriso stampato sulla faccia il futuro dove l’idea di ricerca di elevarsi nella fascia di alta gamma, donando al marchio magari quell’allure che solo un buon marketing può offrire c’è.
Il piccolo Consorzio che dalla sua ha anche i favori dei cambiamenti climatici che favoriscono le produzioni “d’altura” cresce per davvero.
Lo fa quasi in controtendenza in un universo enoico che mira alle rotondità internazionali per vendere meglio sui mercati esteri con la sua impronta forte e identitaria di Sangiovese riconoscibile dove longevità e freschezza viaggiano a braccetto.

Vino toscano: fra zirconi e diamanti

[:it]20160215_124550di Nadia Fondelli –  Le stelle nel firmamento del vino toscano brillano. I dati sull’export vincolo sono entusiasmanti, ma non è tutto oro quello che luccica.

Molto spesso uno zircone ben intagliato abbaglia gli occhi più di un autentico brillante e così succede nel vino che, non a caso, anche l’assessore Remaschi nella conferenza di presentazione della lunga settimana delle anteprime di Bacco ha definito “la locomotiva dell’agroalimentare della regione”.

A livello export i risultati, rimanendo ai paragoni astronomici, sono davvero a cinque stelle. La Toscana si colloca al secondo posto nazionale per valore di esportazioni dopo il Veneto e prima del Piemonte.
La quota vino regionale nel panorama italico passa dal 14,8% del 2014 al 16,7% del 2015 e addirittura, dal 2003 ad oggi, nonostante la congiuntura economica negativa e due annate non troppo favorevoli il commercio estero è aumentato del 102,4%.

Tornano a volare i mercati nord americani (+15,8%) ed europei (+5,6%), molto lunatici i paesi del BRIC con il Brasile che scende del -28,4% e la Cina che cresce del +32,4%. Ma ciò che sorprende sono Paesi emergenti anche difficili da immaginare come l’India che cresce del +120% e il Sud Africa del +140,8%. Ottime e insperate performance anche da parte di Nuova Zelanda con +19%, Israele +32,1% e perfino Emirati Arabi Uniti con un sorprendente +11,5%!

Ma anche i bianchi di Toscana meno famosi e popolari segnano cifre a doppio zero e stesso risultato lo aspettiamo a breve anche per i rosati che stanno prepotentemente tornando ad essere presenti nel corredo delle principali casate vinicole dopo un oblio di decenni grazie al loro mix di profumi, sapori e leggerezza che li rendono perfetti per ogni stagione e circostanza.

Le giovani generazioni, i cosiddetti “Millennians” nel modaiolo mondo del vino vedono la Toscana come punto di riferimento e questo fa prevedere un futuro radioso.
Beati loro. Chi invece, come chi scrive, ha qualche capello bianco, ha visto il vino passare dai bassifondi ai caveaux e dopo migliaia di degustazioni sul palato non confonde ormai gli zirconi con i diamanti.

Degustando le varie denominazioni in anteprima, non ci siamo lasciati troppo affascinare dai pomposi proclami festaioli e i budget da capogiro che accompagnano i 300 anni del Chianti Classico e al bicchiere ci siamo annoiati come ormai tradizione da molti anni.
Verrebbe da dire che serve più personalità e coraggio, ma ci siamo annoiati anche di ripetere questo.
Siamo invece rimasti favorevolmente sorpresi dagli altri vini, quelli meno osannati e con budget promozionali senza troppi zero che, ligi alla tradizione, propongono ancora sapori autentici e caratteriali infischiandosene della ruffianeria di circostanza.
Su tutti segnalo il Vin Ruspo di Carmignano straordinario esempio di rosato emergente e il
vino minerale vulcanico del Montecucco dell’Amiata.

[:en]20160215_124550di Nadia Fondelli –  Le stelle nel firmamento del vino toscano brillano. I dati sull’export vincolo sono entusiasmanti, ma non è tutto oro quello che luccica.

Molto spesso uno zircone ben intagliato abbaglia gli occhi più di un autentico brillante e così succede nel vino che, non a caso, anche l’assessore Remaschi nella conferenza di presentazione della lunga settimana delle anteprime di Bacco ha definito “la locomotiva dell’agroalimentare della regione”.

A livello export i risultati, rimanendo ai paragoni astronomici, sono davvero a cinque stelle. La Toscana si colloca al secondo posto nazionale per valore di esportazioni dopo il Veneto e prima del Piemonte.
La quota vino regionale nel panorama italico passa dal 14,8% del 2014 al 16,7% del 2015 e addirittura, dal 2003 ad oggi, nonostante la congiuntura economica negativa e due annate non troppo favorevoli il commercio estero è aumentato del 102,4%.

Tornano a volare i mercati nord americani (+15,8%) ed europei (+5,6%), molto lunatici i paesi del BRIC con il Brasile che scende del -28,4% e la Cina che cresce del +32,4%. Ma ciò che sorprende sono Paesi emergenti anche difficili da immaginare come l’India che cresce del +120% e il Sud Africa del +140,8%. Ottime e insperate performance anche da parte di Nuova Zelanda con +19%, Israele +32,1% e perfino Emirati Arabi Uniti con un sorprendente +11,5%!

Ma anche i bianchi di Toscana meno famosi e popolari segnano cifre a doppio zero e stesso risultato lo aspettiamo a breve anche per i rosati che stanno prepotentemente tornando ad essere presenti nel corredo delle principali casate vinicole dopo un oblio di decenni grazie al loro mix di profumi, sapori e leggerezza che li rendono perfetti per ogni stagione e circostanza.

Le giovani generazioni, i cosiddetti “Millennians” nel modaiolo mondo del vino vedono la Toscana come punto di riferimento e questo fa prevedere un futuro radioso.
Beati loro. Chi invece, come chi scrive, ha qualche capello bianco, ha visto il vino passare dai bassifondi ai caveaux e dopo migliaia di degustazioni sul palato non confonde ormai gli zirconi con i diamanti.

Degustando le varie denominazioni in anteprima, non ci siamo lasciati troppo affascinare dai pomposi proclami festaioli e i budget da capogiro che accompagnano i 300 anni del Chianti Classico e al bicchiere ci siamo annoiati come ormai tradizione da molti anni.
Verrebbe da dire che serve più personalità e coraggio, ma ci siamo annoiati anche di ripetere questo.
Siamo invece rimasti favorevolmente sorpresi dagli altri vini, quelli meno osannati e con budget promozionali senza troppi zero che, ligi alla tradizione, propongono ancora sapori autentici e caratteriali infischiandosene della ruffianeria di circostanza.
Su tutti segnalo il Vin Ruspo di Carmignano straordinario esempio di rosato emergente e il
vino minerale vulcanico del Montecucco dell’Amiata.

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Chianti Rufina: il clima gioca col grande vinoChianti Rufina: climate plays with great wine

di Marco Gemelli Il clima pazzo degli ultimi anni scherza col vino toscano. Due inverni oscillanti e due estati secche hanno fatto sì che, una zona enologicamente e geograficamente fredda per il vino come Chianti Rufina abbia prodotto vini molto alcolici.
E’ questo uno degli aspetti più interessanti emersi nel corso dell’incontro organizzato nei giorni scorsi dal Consorzio Chianti Rufina DOCG per degustare i vini delle 22 cantine della denominazione.

Il presidente Lorenzo Mariani ha spiegato che negli ultimi due anni le condizioni climatiche della zona – che non a caso si chiama “La più alta del Chianti” – hanno portato alla “nascita” di vini piuttosto alcolici (fino a 15 gradi), molto al di sopra della media, tanto che, in futuro molti produttori stanno pensando di modificare l’esposizione dei vigneti. Diverse aziende stanno conducendo un reimpianto dei vigneti e quindi la possibilità in futuro di cambiare l’angolo d’esposizione è abbastanza reale.

Novità in vista anche in termini di quantità del vino che esce dalle cantine: le ultime innovazioni richieste dalla UE garantiranno entro i prossimi sei anni rendimenti fino a 90 ettolitri per ettaro. D’altra parte, le condizioni climatiche degli ultimi anni continuano a spingere verso una riduzione della produzione, migliorando così la qualità.

Il Chianti Rufina DOCG è uno dei vini più importanti della Toscana che si sviluppa interamente nella provincia di Firenze e distribuito nei comuni di Pontassieve, Rufina, Londa, Pelago e Dicomano.

La prima documentazione scritta del vino Rufina riporta ai primi anni del Quattrocento. Nel XVIII secolo, con l’Editto del Granduca di Toscana, arrivò il riconoscimento ufficiale e Cosimo III classificò il vino prodotto in questa zona, tra i “top four” della Toscana.
Rufina è la più piccola delle sette sottocategorie del Chianti occupando una superficie di appena 12.483 ettari totali, con una produzione di circa 27.000 ettolitri l’anno.
La struttura geologica del terreno e l’esposizione al sole nel sud delle alte colline (che permette alle uve di raggiungere una maturazione ottimale) generano un microclima con alte temperature diurne e fresco nelle notti d’estate che contribuisce al mantenimento di note aromatiche.
Il risultato è un vino elegante con una forte personalità, un profumo di complesso bouquet di frutti di bosco e spezie. Un vino dalla longevità unica (attestata alcune riserve di vigneti particolari, anche oltre trenta anni).

by Marco Gemelli – Weather’s jokes, for Tuscan wine: two swinging winters and two dry summers HCG have meant that a wine region geographically cold as Chianti Rufina has produced very alcoholic wines. It’s one among the main issues raised at the meeting organized by the consortium Chianti Rufina DOCG to taste the wines of the 22 wineries represented. President Lorenzo Mariani explained that over the past two years the weather conditions of the area – which not coincidentally is called “The highest Chianti” – have led to pretty alcoholic wines (up to 15 degrees), far above the average. So much so that, in the future, in the territory of Rufina many producers are thinking of changing the exposure of the vineyards: since different companies are assuming, or even conducting a replanting of the vineyards, the possibility to change angle seems quite real.

News in view also in terms of the quantity of wine that come out from the cellars: the latest innovations requested by the EU will ensure that within the next six years the yields of Chianti Rufina DOCG arrive at 90 hectoliters per hectare. On the other hand, the weather conditions of recent years continue to push towards a reduction in production, thereby improving quality.

The Chianti Rufina DICG born in one of the most important wine of Tuscany, located in the province of Florence and distributed in the towns of Pontassieve, Rufina, Londa, Pelago and Dicomano. The first written records of Rufina wine date back to the early fifteenth century. In the eighteenth century, with the Edict of the Grand Duke of Tuscany, came the official recognition, and Cosimo III classified the wine produced in this area, among the “top four” of Tuscany. Rufina is the smallest of the seven specifications of Chianti: it occupies an area of 12,483 hectares, with a production of about 27,000 hectoliters a year.

The geological structure of the ground – made of limestone and marl – and exposure to the sun in the south of the high hills (which allows the grapes of the vines to reach optimal ripeness) generate a microclimate with high daytime temperatures and cool nights summer, which contributes to the maintenance of aromatic notes. The result is an elegant wine with a strong personality, a perfume that refers to a complex bouquet of wild berries and spices. A wine also characterized by a unique longevity (attested to some reservations of particular vineyards, even beyond the age of thirty).